Attesa davanti al mare delle cinque terre, di L. Rossetto |
Abbiamo perso il senso del tempo, limitato al
presente fugace: occorre riscoprire il valore dell’attesa e della
speranza
(ap *) Quanti di noi, ogni momento, sono intenti a
guardare il proprio cellulare? Immersi nella connessione perenne, con tutti e
tutto, e dunque con niente? C’è l’ingordigia di cogliere qualsiasi aspetto
della vita corrente, nell’illusione di viverla più intensamente che in ogni
altro modo. Un’abbuffata di notizie, video, contatti con chiunque, senza sensi
di colpa per questo sperdimento continuo del nostro esistere.
Viviamo una corruzione del tempo, ridotto a istanti,
fugaci momenti, frammenti millesimali; la testa china su uno schermo, metafora
di una condizione che ci porta a guardare soltanto ciò che è più ravvicinato al
corpo o alla mente. Fosse il desiderio di preservare il fisico dal degrado
irrimediabile degli anni; l’attrazione per il denaro o per il potere, strumenti
di affermazione del proprio io; il sogno di perpetrare il proprio “genio” nelle
opere lasciate in eredità o addirittura attraverso la generazione di altri
esseri umani.
Il presente è l’orizzonte unico di un’illusione
perenne, il segno di un mutamento antropologico. La modernità si accompagna
allo smarrimento del senso del tempo, ridotto e circoscritto agli istanti nei
quali ci ritiriamo a vivere. Perdiamo una bussola importante, quella che
dovrebbe guidarci tra gli avvenimenti, a capire il senso dei dolori e delle
gioie.
Il solo presente si smagrisce a istante precario,
fugace, e segnala in modo sconfortante la fragilità della condizione umana, il
suo essere così fluttuante nel divenire inesorabile delle cose. Rischiamo di
vivere senza slanci, o un pensiero che ci trascenda, o una stella cometa che ci
guidi nel buio della notte così fredda.
Il frastuono che accompagna le feste, altra
manifestazione di questo esautoramento del senso del tempo, nasconde e quasi
annulla una dimensione che è opposta alla fragilità e alla debolezza. Quella
dell’attesa e della speranza, così strettamente collegate. L’unica che ci
permetta di stare nella vita vivendo, senza timore. Non è possibile avere tanta
fretta, nel quotidiano, da non scorgere che abbiamo bisogno di memoria, di
ricordi, di passioni che ci proiettino verso un futuro da costruire a piccoli
passi. Appunto la dimensione del tempo oltre il presente, che abbracci il
passato e il divenire.
Il Natale rimanda al senso religioso di quest’attesa,
che è un richiamo all’arrivo di qualcuno che, in quel presente di oltre 2000
anni fa, ha però squarciato le tenebre dividendo il tempo tra un prima e un
dopo, e dando corpo (il suo corpo) alle speranze di tutti gli uomini.
Eppure proprio la nascita di quel bambino a Betlemme
ha reso evidente un’aspirazione così diffusa tra gli uomini: il bisogno di “un
di più” che vada oltre l’istante fugace, la provvisorietà del quotidiano.
Qualcosa verso cui tendere, e proiettare l’esistenza, per rinascere dopo le
ferite sofferte. Non per sublimare gli affanni, ma per scoprirne il senso
profondo.
L’attesa è una condizione profondamente umana,
intrinsecamente religiosa nel suo rimando ad un altrove che ci trascende senza
travolgerci, dando uno scopo al nostro agire. E’ il segno profondo della nostra
umanità oltre il presente, che ovunque possiamo cogliere: nella mamma prima che
suo figlio venga alla luce; nel fornaio che mescola la farina con il lievito;
nello studente che prepara i suoi esami; nel malato prima di un intervento; nel
frate che in ginocchio congiunge le mani pregando.
* Leggi anche La Voce di New York:
* Leggi anche La Voce di New York:
l'attesa e' una dimensione mistica...solo per chi semina.
RispondiEliminaIl tempo,come sappiamo,non è un assoluto e non è lento o fugace di suo.E non è nei poteri individuali e personali dare la misura del suo consistere, resistere o declinare. L'individuo si rifugia nell'attesa e nella speranza allorché avverte come altro da sé una forza che gli si oppone. Una volta questa forza era rappresentata dalla natura come tale. Attualmente è il mondo umano che si presenta così: fonte di proibizioni e prescrizioni, di obblighi precetti e sanzioni. Mentre nel gruppo solidale obblighi e sanzioni si compensano e i tempi umani si commisurano a quelli naturali, dunque la categoria del dover essere ha valore pratico, nel mondo in cui viviamo non avviene una compensazione individualmente percettibile. Qui la categoria etica del dover essere diviene strumento di dominio e controllo dei "forti"sui "deboli", diviene sottrazione di possibilità vitali dai molti ai pochi. La velocità del nostro tempo è data dalla realizzazione del profitto, ottenuta con la pressione produttiva e organizzativa dei mercati, e non è frutto di opzioni individuali, meno che mai da parte di soggetti che gestiscono solo le loro energie e le devono spendere in lavoro con condizioni e tempi non limpidamente contrattabili.Perciò l'invito a "fare come se" un "altrove" mitico e buono (il sogno di una cosa - diceva Marx) accolga la nostra sconfitta sul terreno dell'essere aprendosi come rifugio consolatorio e deresponsabilizzante, mi sembra improponibile e remissiva del cattivo esistente. Almeno ascoltiamo Papa Francesco!
RispondiEliminaSulle caverne dei giorni nostri
RispondiEliminaUno dei richiami del tempo nostro, non evocati da una sana e socializzante piazza pubblica o dal sagrato di un tempo trascorso, forse il più potente, è rappresentato da internet, dai tablet, dai cellulari . L’odierno dominio d’internet, così denso di informazioni e di praticità, ma anche, spesso, di insignificanza e di grigiore, coinvolge ogni processo di coscienza, confermando che oggi la saldezza del pensiero è incrinata dal dominio delle immagini e delle interpretazioni: nulla è vero, nulla è falso, qualsiasi banalità è un fatto su cui contare. Così, il vivere assume la forma dello scontro delle forze e delle prospettive diverse: ognuno ha la sua prospettiva che vuole imporre normativamente agli altri, ciascuno ha la sua menzogna da far valere come verità incrollabile. Tuttavia con questa realtà è impossibile non fare i conti e, soprattutto i giovani confidano nei contenuti di Internet che sembrano facilitare, in tempi immediati, la formazione del sapere, o la risoluzione di compiti scolastici. Addirittura i messaggi su internet sono i nuovi educatori per molti bambini i cui genitori o sono disattenti, o inconsapevoli, o impari rispetto alla forza dei media. I bambini rischiano di crescere del tutto etero diretti e quindi poco inclini a riflettere, a ragionare, ad ascoltare i propri stati psichici e fisici. In realtà, tutti dovremmo riflettere e insegnarlo ai giovani, nelle scuole, che si tratta di un’educazione inaridita, ridotta com’è a una comunicazione tecnicamente efficace: la razionalità tecnico-pratica-mediatica prende il posto del concetto di educazione come autopotenziamento e autosviluppo della libertà e della interiorità . Di più, dall’ansia di ricorrere sempre a internet deriva la patologia dell’inversione del rapporto fra spazio d’esperienza e orizzonte d’aspettativa, nel senso che la prospettiva inghiotte in sé l’esperienza: il futuro perde il suo significato simbolico di tempo dell’immaginazione , dell’attesa, della speranza, dello stupore. Sempre più le credenze sono indebolite o infrante e il pensiero è in un circolo chiuso, o brancola in una rinnovata caverna dell’ignoranza.
Paolo Brondi