L'impero delle luci, di R. Magritte |
Il buio e la luce richiamano opposte sensazioni, capaci di sorprendere. Un’atmosfera
incantata
(ap) Un’immagine
apparentemente semplice, quella dell’Impero
delle luci, dipinto nel 1954 da René Magritte (Collezione Peggy Guggenheim di Venezia), e ritenuto uno dei
capolavori dello scuola surrealista. Una villetta isolata, al termine di una
strada in terra battuta, immersa nel buio della notte, ed illuminata
parzialmente dalla modesta luce di un lampione davanti all’edificio, oltre che
dalle lampade interne, visibili attraverso due finestre aperte.
Sono le uniche
fonti di luce per attenuare la profonda oscurità che avvolge l’insieme e
lasciare percepire i particolari del paesaggio. Una inquadratura con dettagli
precisi e quasi fotografici, a prima vista non privi di armonia ed ordine.
Eppure quella luce che
concentra l’attenzione nel mezzo di un buio pressoché assoluto ha un fascino
singolare. Così flebile, incerta, parziale. Unico principio di illuminazione nell’oscurità
abbagliante, rischiara debolmente l’abitazione, non riesce a diradarne le
ombre. Più che sicurezza e tranquillità, rilascia inquietudine ed incertezza.
La suggestione di questo richiamo alla luce, lo stesso conforto che può
derivarne durano pochi attimi, poi emerge impetuoso il contrasto con lo sfondo
che sovrasta l’abitazione.
Vi campeggia un cielo
azzurro, con delle chiare nuvole bianche attraversate da raggi del sole. Una
scena limpida e luminosa. C’è una radicale contrapposizione tra il chiarore del
giorno, sullo sfondo della casa, e l’oscurità della notte, che in basso avvolge
la vita, forse turbandone l’equilibrio.
Un paradosso, quello della contemporanea
rappresentazione del giorno e della notte, della luce abbagliante del sole e
del buio totale, destinato a sorprendere e sconvolgere, creando un’atmosfera
inquietante. Addirittura un sovvertimento della realtà, articolata in partiture
omogenee, che mantengono sempre un raccordo tra le quinte del paesaggio, senza
scosse troppo accentuate.
C’è turbamento nella
visione di questa scena. L’oscurità richiama il pericolo se non la barbarie. La
luce evoca la speranza e il divenire. Tra i due mondi, il confine è netto senza
sfumature intermedie, quello spazio indefinito che lascia intravedere la
dimensione del “non più” e quella del “non ancora”, come in ogni alba o tramonto.
Il malessere collegato
all’oscurità del buio non riesce a disperdersi nel chiarore dello sfondo,
rimane racchiuso nel mondo degli umani che fanno capo a quella sperduta
villetta nel bosco. E tuttavia non sconfina neppure nel senso dell’angoscia,
rimane come sospeso in una specie di limbo incantato.
Questa incredibile
contrapposizione tra la luce e il buio, così surreale appunto, è ciò che alla
fine genera sorpresa e stupore. E’ allora che quella piccola lucina del
lampione disvela una provvidenziale intensità, che rende magico tutto il
paesaggio, ed è pure capace di trasmettere un’insospettabile calma interiore.
Grazie per questa lettura dell'opera di Magritte la cui foto rende evidente il riferimento del discorso interpretativo. Luce/buio, ossimori della nostra mente e delle nostre aspettative.
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