(Foto Livornosera.it) |
Vicolo dei lavandai a
Milano. Angoli nascosti che richiamano antiche memorie: quando i panni si
lavavano in pubblico
di Marina Zinzani
Le
mani fredde, quasi gelate. Vestiti pesanti, e mani nell’acqua. Lenzuola che si mettono a
mollo, si tirano su, si passa il sapone, la spazzola, e poi ancora a mollo,
una, due volte, e poi strizzare, sbattere. Sbattere ancora e strizzare.
Strizzare forte. Guardare a fianco. C’è ancora il cesto pieno. Di cose da
lavare.
Sono
lì chinate le lavandaie, li senti quasi i loro discorsi, sì, la giornata è
lunga, di chi si è innamorata l’Enza? Quello la chiederà in sposa? Ha già
parlato con suo padre? Risate anche, confidenze a bassa voce, e intanto la vita
va, le giornate, i panni stesi, i panni lavati, i panni, tanti, tanti da lavare
ed asciugare, le mani che fanno male, le dita quasi congelate, la nebbia,
quanta nebbia che c’è a Milano d’inverno, il freddo ti entra dentro le ossa, e
fa male la schiena a stare lì, piegate
su quell’asse di pietra, bisogna sognare, ogni tanto, sognare aiuta a vivere,
bisogna parlare di quella signora che è andata a Parigi a prendersi una
pelliccia, che vuole la pelliccia anche per la figlia, bisogna sognare un
grande incontro, un bell’uomo buono e gentile, garbato, che si innamori di una
povera lavandaia che fa servizio a casa dei signori, e la chieda in sposa, la
porti in una casa accogliente, un uomo che abbia anche un’auto, e che si
innamori di lei così com’è, con le sue mani che odorano ancora di sapone alla
fine della giornata, con quell’unico vestito che ha per uscire con le amiche.
Sognare, sognare, sognare e lavare.
E
poi a primavera. Sembra di fare meno fatica, l’acqua non è più così fredda, e
le mani non sono più violacee. E’ tempo di vestiti leggeri. Ma ci sono ancora
tanti, tanti panni da lavare. Metti nell’acqua, tira su, sapone, passa il
sapone, spazzola bene, rimetti in acqua, vai, la giornata è ancora lunga a
finire, è questa la nostra vita, quella delle lavandaie. E su tutto, su ogni
stagione che alla fine fa gli anni di una vita, resta il profumo del sapone,
alchimia quasi che trasforma ogni capo in qualcosa di nuovo, il profumo delle
cose buone. L’odore del pulito.
Se
gli oggetti, i luoghi, le strade, i vicoli, potessero parlare. Se mantenessero
una memoria di quello che accade, ecco, lì, in Vicolo dei Lavandai, in
quell’anfratto del Naviglio Grande a Milano, si udirebbero ancora le parole, le
risa, le confidenze, la fatica di quelle donne che vi andavano a lavare i
panni. Se la memoria portasse anche i profumi, si percepirebbe il profumo del
sapone.
La
schiena stanca, la Milano delle case di ringhiera e della povertà, della
nebbia, la Milano dura, ancora così divisa in classi, le povere donne che vanno
a lavare i panni per le famiglie benestanti, la Milano che è grigio e fatica,
qualche sogno.
C’è
la movida oggi in tutta la zona dei Navigli, e lì, nel Vicolo dei Lavandai, la
gente passa. Ma gli echi delle lavandaie sono lontani, impercettibili. Bisogna
chiudere gli occhi, e soffermarsi in silenzio, lontano da ogni rumore, magari nei cortili delle case di ringhiera. Allora
qualche eco ritorna, lieve, portato dalle anime che vi hanno vissuto.
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