di Marina Zinzani
(Tratto
da “I racconti dell’acqua”)
(Commento di Angelo Perrone)
(ap) Il lavoro che diventa precario,
incerto, quasi affidato al caso. La minaccia dei licenziamenti perché c’è la
crisi, e non tutti mantengono il posto. L’occupazione è soggetta a mille
disavventure che possono cambiare il senso della vita, le sue possibilità
concrete: le spese, gli studi dei figli, tutto l’avvenire della famiglia. Si
vive la fragilità di certi momenti e si avverte un freddo dentro, molto più
pesante di quello che accompagna la stagione invernale.
Per alcuni, non c’è solo la paura di
una tragico cambiamento dello stile di vita, il pericolo di non farcela più.
Tutto è avvenuto di già. Il lavoro è perso da tempo, e non se ne trova un
altro. La famiglia non c’è più, forse non è mai esistita. Si vive
all’addiaccio, su un cartone, sotto un portico. Se c’è posto.
La solitudine è la condizione che
rende irrimediabilmente fredde quelle notti senza fine. La precarietà accresce
il gelo della vita, fa scoprire quanto sia prezioso un po’ di calore: nelle
relazioni umane innanzi tutto, ma anche negli aspetti minuti del vivere: stanze
riscaldate e accoglienti; cibo sufficiente, magari l’acqua sempre calda nei
rubinetti.
L’acqua è il tema ricorrente di
questi “Racconti”. Elemento prezioso, simbolo di energia, di vitalità, del
divenire stesso, attraversa la parola scritta, lasciando tracce minime o
vistose di sé. E’ una protagonista discreta e misteriosa di storie diverse. Che
finiscono poi per dare rilievo proprio a lei, l’acqua, scoprendone le
molteplici dimensioni di senso.
La
giornata si preannunciava inquieta. Poteva cambiare tutto in un attimo. Si
parlava di ristrutturazione, i nuovi acquirenti della ditta volevano cambiare
molte cose. E proprio quella mattina ci sarebbe stato un incontro decisivo con
i dipendenti e la direzione.
E
se Claudio fosse stato uno di quelli sacrificati sarebbe entrato in
quell’oscuro anfratto di cassa integrazione, disoccupazione, e poi, e poi… Poi
la povertà, più o meno. Il futuro finito. No, non voleva neanche pensarci. Il
suo stipendio serviva, per gli studi della figlia, per il mutuo, per vivere, e
la pensione era ancora un miraggio.
La
trepidazione con cui uscì, d’altronde la notte non aveva dormito, agitato aveva
avuto caldo e poi brividi di freddo, la trepidazione gli faceva sentire quelle
ore interminabili, prima della riunione che l’aspettava in azienda.
All’uscita
di casa, si diresse verso la fermata del tram, faceva freddo, il gelo artico
era arrivato e lasciava intirizzite le mani, bisognava coprirsi bene anche la
gola, mettere i guanti. Aspettò l’arrivo del tram quasi battendo i piedi,
cercando di muoversi per vincere il rigore del freddo.
E
mentre aspettava, vide il barbone che giaceva ogni giorno vicino alla fermata
del tram. Aveva dormito anche quella notte nel suo giaciglio di fortuna fatto
da cartoni e da una coperta rotta. Uomo smagrito, colorito terreo, quasi uno
scheletro. E la sua mano dinoccolata si allungò verso di lui, come per chiedere
qualcosa.
Subito
un pensiero colse Claudio: quanti barboni ci sono ormai in città, dicono che ci
sono i dormitori, una città piena di mendicanti sta diventando. Pensieri e
freddo, freddo, freddo, se mi licenziano sono fottuto, cosa vado a fare a
quest’età... Il freddo nelle gambe, il gelo nel cuore. Mi fissa questo qui,
cosa vuole, allunga la mano, chissà se ho qualche moneta… Ecco, il tram. Quanto
manca? Due ore? Fra due ore saprò tutto. Non ci posso pensare se va male.
Quando
la paura finisce, si aprono squarci nuovi. Mensa, lavarsi le mani. Ti è andata
bene, anche a me è andata bene, in pratica si facilita l’uscita per chi è
vicino alla pensione, accontentiamoci, dai. Lui e il suo collega erano alla
mensa, e rivedevano le ore cruciali della mattinata. In pratica erano sospiri
di sollievo. La vita riprendeva ad essere più tranquilla, dopo lo spauracchio
che girava da mesi, voci incontrollate, ogni giorno una notizia nuova, ci
lasceranno tutti a casa, no, assumono, no, taglieranno.
Invece
il suo lavoro ci sarebbe stato ancora, il solito tran tran poteva continuare, vita
semplice che appariva ora preziosa. Sua figlia poteva laurearsi, sua moglie poteva
continuare il suo lavoro part-time e loro due farsi una vacanza ogni anno in un
bel posto. La piccola felicità di una famiglia che aveva sempre risparmiato,
semplice. Lavarsi le mani prima di mangiare, ho fame, finalmente mi si è aperto
lo stomaco. L’acqua scese dal rubinetto calda, piacevolmente calda, e lui si
insaponò e si strofinò con cura e quel tepore fu piacevole.
Ma
poi… chissà come… la mente andò al barbone che vedeva tutte le mattine, che gli
aveva allungato la mano per chiedere qualcosa. Ebbe un’improvvisa pena per lui,
una pietà sconfinata, per un attimo pensò che anche quell’uomo aveva avuto un
giorno una casa, un letto, e l’acqua calda per lavarsi.
Quando
uscì dal lavoro, sentì subito il freddo pungente, come piccoli spilli che
ferivano la faccia, e decise di fare qualcosa per lui. Una coperta, doveva
comprargli una coperta.
Quando
scese alla fermata del tram, l’uomo non c’era. C’era il suo giaciglio di
cartone, ma lui non c’era. Claudio si guardò attorno, come in sospeso su cosa
fare. Per un attimo pensò di lasciare lì la coperta, perché l’aveva comprata,
proprio comprata per lui. Ma poi pensò che era meglio aspettare la mattina
dopo.
L’indomani
uscì di casa dieci minuti prima, doveva consegnare la coperta e magari saperne
più di lui, se poteva fare qualcosa, metterlo in contatto con qualche
associazione di volontariato. Soprattutto quell’uomo non doveva stare in
strada, con il freddo di quelle notti.
No.
Non c’era. E non c’era neanche più il suo giaciglio. Tutto ora appariva pulito,
a posto, come se quell’uomo non fosse mai esistito, creatura della sua mente
forse.
Con
un senso di disagio, Claudio salì sul tram, e si chiese se fosse arrivato
troppo tardi, forse l’avevano trasferito quell’uomo, oppure, certo non aveva un
bell’aspetto, e se gli avesse dato qualche soldo, quelli che lui implorava la
mattina prima, forse avrebbe potuto bere qualcosa di caldo.
I
giorni passarono. Il lavoro continuava, la vita consueta, anche noiosa. Ogni tanto
si guardava in giro, cercando quel volto fra gli altri barboni della zona.
Fu
solo verso la primavera che lo incrociò. Camminava sotto un portico, senza
calzini e parlava da solo.
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