Le
ombre che calano sulla relazione d'amore
di
Paolo Brondi
Durante
i mesi di distacco da Luisa, accaddero altri eventi che portarono nella mia
vita grandi mutamenti. Fui coinvolto in casi ed esperienze che mi permisero di
ripercorre all’indietro la vita rivalutando il passato e riscattando ogni
dolore.
In
occasione di un convegno di criminologia forense a Milano, presi la metropolitana per recarmi
in piazza Duomo. Nella metro assai affollata, davanti a me vidi una giovane
donna: capelli biondi e fluenti, occhi verdi con pagliuzze dorate. La guardai e
all’istante si creò un simpatico gioco di sguardi ora sfuggenti, ora fissi e
continui. Mi sorpresi a sorridere lievemente e lei, ancora più sorpresa, ma con
una punta di malizia che le illuminava il viso, rispose al sorriso.
Che enorme illusione,
che bluff stava nascendo! Non poteva sapere che era altro da lei quello che il
mio sguardo, il mio sfumato sorriso, andava cercando. Non poteva sapere che
lei, per me, era un semplice segno, o un sogno a occhi aperti che rimanda a
un’altra donna, un ideale di donna, forse la Luisa di prima o un’altra. La metro si fermò. Aveva raggiunto il Duomo. Uscì una
marea di persone ed io, senza sapere come, mi trovai accanto lei, la donna del
bluff! Mi guardò con occhi birichini e mi chiese:
"Mi
offre un caffè?".
Andammo al
Biffi. Ci sedemmo fuori, un poco in disparte e ordinai due caffè con
pasticcini. La osservai meglio, fuori dal sogno, e mi dissi “E' proprio bella! Giovane,
avrà meno di trenta anni. Io ne ho quasi dieci di più”.
Guardandomi
fisso, fu lei per prima a prendere la parola:
“Io amo la
montagna, quando fasciata al mattino dalla nebbiolina e paesaggio fiabesco di
colori inebrianti. Ecco, il suo sguardo, il colore dei suoi occhi su me, mi
ricorda quei colori”.
L’ascoltai
sorpreso e soggiunsi: “Sì di una montagna dei grandi silenzi, delle tempeste,
delle notti nevose, del buio senza luna. Cambiano colore i miei occhi mutando
condizioni e benessere o malessere”.
“Lo
vedo-disse lei, passando al tu-ora mi sembrano illuminati e intensi”.
Ci
presentammo. Lei si chiamava Gretel. Era una pianista e teneva concerti in varie
città d’Italia e all’estero. Era cittadina svizzera e abitava a Ginevra. Mi propose
di andare a trovarla, porgendomi il biglietto con tutti gli indirizzi, mi
avrebbe ospitato con gioia nella sua casa, su quel bellissimo lago.
La
ringraziai, le consegnai , sfiorandole la mano, il mio biglietto da visita e le
promisi che, forse sì, un giorno, lo avrei fatto.
Uscimmo,
andando verso la libreria Rizzoli. La galleria brulicava di gente che sembrava
festante, forse per l’aria autunnale che apre i pori e stuzzica mente e desideri.
Ci sedemmo su una panchina di pietra non lontano dall’ingresso della scala.
Eravamo molto vicini e gli occhi di lei frugavano in quelli miei. Non glielo
lasciai fare per molto. La baciai e il bacio si fece più intenso e caldo.
Tornato
alla vita dello studio, sfogliai la posta. Si era rifatta viva Luisa, inviandomi per fax un
lungo messaggio.
“Luca caro. Mio caro Luca. Quanta
malinconia e nostalgia in questi miei ultimi giorni. Torna in me costante la
tua immagine, i tuoi moti, la tua simpatia di accenti, gli scatti di
impazienza, la luce intensissima nel viso, negli occhi, nelle movenze tutte.
Ripercorro la nostra eccezionale vicenda di due esistenze in parallelo che
infine hanno sovvertito le regole euclidee, si sono incontrate ed hanno
camminato insieme sempre più identiche nel solco dell’essere nel mondo e contro
la banalità degli accadimenti tutti.
Ma come dice Calvino
nelle sue lezioni americane, quando si vive un impatto eccessivo con il vedere
il sentire, si finisce paradossalmente per conseguire il contrario. Si altera
il senso del tempo, da estensivo a intensivo. Si velocizza la memoria. Ed è
proprio dalla mia esperienza americana che in me è avvenuto un profondo
rivolgimento. Vano è stato l’ascolto lungo delle sirene, le promesse di
rinnovata e trionfante gioventù, la sfida della marcia lunga dei tempi in un
cammino tutto a ritroso. La razionalità chiamata a rinserrare gli affetti, non
senza una prevedibile devastazione interiore, sta ormai prendendo il
sopravvento, suggerendo prosaicità di parole, azioni. Finirò per stabilirmi a
Milano fra pochi giorni sarò in Scozia come principale interprete in un meeting
finanziario.
Ho portato con me il
tuo regalo. L’ho aperto. E’ meraviglioso! Lo conserverò come un tesoro il
tesoro del nostro amore, l’unico vero amore donato dal tempo che è stato. E ora
il mio tempo, come del resto forse il tuo, se ne va addensando le nebbie e
seminando tutto un tappeto di foglie, la caducità delle foglie come di un
amore. Che dire, che fare. Oggi non so, ma so che la mia vita dovrà cambiare. Ti
abbraccio. Addio. Mio Luca, già la tua Luisa ”.
Una nuvola gonfia di
pioggia oscurò la luce del sole e nella stanza si addensarono ombre.
Similmente, i miei sentimenti, mentre leggevo quelle parole, trascoloravano
passando dal roseo della sorpresa al nero-rossastro della malinconia. Avevo
sempre pensato che non sarebbe durata, ma la sua presenza nel mio cuore e nella
mia mente, per così lunghi anni, aveva lasciato una traccia indelebile e ora
quelle parole evocanti caldo contatto e freddezza di fuga mi si rivoltavano
dentro colme di lacrime. Riposi il messaggio in un cassetto della scrivania, forse,
più avanti lo avrei riletto. Intanto, dissolte le nuvole, il sole compiva il
suo giro e stava tuffandosi nel mare. Uscii dallo studio e a passi veloci
raggiunsi la spiaggia riuscendo a cogliere l’attimo dell’ultimo barbaglio di
sole.
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