domenica 14 giugno 2020

Il razzismo, dopo il caso George Floyd


L’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto a Minneapolis ha determinato la nascita di un movimento globale contro il razzismo di qualunque volto


(Angelo Perrone) «Non respiro», è il grido di George Floyd, mentre il poliziotto, il 25 maggio scorso a Minneapolis, gli preme forte il ginocchio sul collo. L’agente di polizia viola la legge che deve far rispettare.

Non è la prima volta. Appena due giorni prima, un altro afroamericano, Maurice Gordon, in New Jersey, viene crivellato da 6 colpi di pistola sparati da un agente che lo ha fermato per eccesso di velocità.
Il razzismo è alla base della più grave delle diseguaglianze sociali del paese, nonostante lo sbandieramento dei principi di libertà e giustizia.
Trenta grandi aree metropolitane, tra cui New York, Detroit, Philadelphia, Los Angeles, hanno un indice di segregazione razziale e scolastica superiore alla media nazionale.
Impossibile disporre di numeri certi sulla violenza della polizia. E’ difficile distinguere i casi di omicidio volontario da quelli incolpevoli.
E’ nelle grandi città, dove i salari medi dei neri sono più bassi, che si nota una crescita della probabilità di morte ad opera della polizia. D’altra parte non c’è rapporto diretto tra dato razziale e tasso di criminalità, che spieghi il maggior uso della forza contro i neri.

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