L’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto a Minneapolis ha determinato la nascita di un movimento globale contro il razzismo di qualunque volto
(Angelo Perrone) «Non respiro», è il grido di George
Floyd, mentre il poliziotto, il 25 maggio scorso a Minneapolis, gli preme forte
il ginocchio sul collo. L’agente di polizia viola la legge che deve far
rispettare.
Non è la prima volta. Appena due
giorni prima, un altro afroamericano, Maurice Gordon, in New Jersey, viene
crivellato da 6 colpi di pistola sparati da un agente che lo ha fermato per
eccesso di velocità.
Il razzismo è alla base della più
grave delle diseguaglianze sociali del paese, nonostante lo sbandieramento dei
principi di libertà e giustizia.
Trenta grandi aree metropolitane,
tra cui New York, Detroit, Philadelphia, Los Angeles, hanno un indice di
segregazione razziale e scolastica superiore alla media nazionale.
Impossibile disporre di numeri certi
sulla violenza della polizia. E’ difficile distinguere i casi di omicidio
volontario da quelli incolpevoli.
E’ nelle grandi città, dove i salari
medi dei neri sono più bassi, che si nota una crescita della probabilità di
morte ad opera della polizia. D’altra parte non c’è rapporto diretto tra dato
razziale e tasso di criminalità, che spieghi il maggior uso della forza contro
i neri.
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