Stiamo superando lo stress della quarantena Covid, ma dobbiamo affrontare nuove tensioni: meglio prima?
di Cristina Podestà
Il silenzio di questi mesi è stato
assordante, soprattutto all’inizio della quarantena. Strade vuote, piazze
libere, edifici chiusi, lavori sospesi. Adesso invece che ci siamo abituati ad
una situazione di maggiore quiete, le parole vuote che viaggiano per via
telematica, telefonica o tra la gente nei nuovi incontri porta ad una grave
stanchezza che fa rimpiangere quel silenzio quasi da farne un culto.
Ora ci si sente esausti, stiamo
metabolizzando tutto lo stress accumulato e la tensione che ci ha tenuto bravi
e ubbidienti. Infastidiscono le troppe parole che martellano nelle orecchie;
per molti sono cacofonia, pure sonorità vuote, vibrazioni senza senso. In
questo momento tutti si sentono in dovere di dire la loro opinione, di fare
previsioni, di esprimere concetti strani, cervellotici, sterili il più delle
volte.
I concetti sono più o meno tutti
uguali. O si dice che il Covid è stato una invenzione per tenerci tutti in
pugno (sic!), oppure si richiama l’attenzione del cittadino ad un comportamento
saggio, rispettoso delle norme vigenti e consapevole. Personalmente penso che
tutto ciò che si ascolta rimane un mormorio monocorde e stonato, non essendo in
grado di accendere di interesse le sfumature della vita, non sapendo suscitare
alcuna curiosità.
Si fa un gran parlare, si prendono
posizioni opposte, si discute animatamente e forsennatamente, per
impressionare. Invece ci sarebbe bisogno di poche e chiare parole,
occorrerebbero risposte definitive, si cercherebbero ansiosamente chiarimenti.
Così in tutto questo mormorare, urlare, sbraitare, litigare, confondere le
acque, qualcuno si ritira in privato e cerca, come ultima forma d’espressione,
un confortante silenzio.
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