Sono previste spese enormi per la ripartenza dopo il Covid-19. Non basta però il solo sostegno ai più deboli. La funzione dello Stato contro povertà e diseguaglianze richiede iniziative per lo sviluppo
(Angelo
Perrone*) Ci siamo rinchiusi in casa per un tempo infinito. Abbiamo contato i
morti, e pianto la perdita di una generazione, che era memoria di affetti e
saperi. Eravamo sui balconi, a cantare per farci coraggio. Abbiamo osservato il
volto nuovo delle città deserte per il virus, materializzazione dei luoghi
metafisici che solo il pennello di Giorgio de Chirico è riuscito a
rappresentare. Ci siamo messi in coda con le mascherine, per entrare nei
supermercati. Abbiamo mostrato disciplina e tenacia.
Ci siamo fatti i conti in tasca: il lavoro perso o ridotto,
comunque trasformato. Chissà il domani. Le giornate scandite da altri tempi e
riti. Accadeva solo tre mesi fa, ma sembra lontanissimo. Era da allora che
l’Italia, piegata su sé stessa, si chiedeva: quando la ripartenza? E si interrogava
sul futuro. Ora facciamo
i primi passi, per uscire dalla crisi più grave, dopo quelle del 2008 e del
1929-33. In che direzione andiamo? Ci sarà il “rilancio”, come promette in modo
roboante l’ultimo provvedimento governativo?
Lo Stato come argine contro la povertà
Nonostante affanni, sospetti e ambiguità, la
battaglia contro il Covid-19 segna un punto fermo. Troppo presto era stato
annunciato il tramonto delle istituzioni pubbliche. Lo Stato nazionale rimane
l’argine contro la frantumazione degli equilibri. Il disteso Economico, ma anche
sociale del paese. E’ uno strano esito, imprevedibile sino a poco fa. Ovunque, in
Italia e nel mondo, si guarda allo Stato, per gli aiuti e la ripartenza, e non
solo per il problema sanitario.
Certo il settore medico è la prima manifestazione di
questo necessario coordinamento. E non a caso registra liti tra governo e
regioni. Il regionalismo (per come attuato in Italia, riformato nel 2001) non è
stato sempre sinonimo di (maggior) efficienza. Può determinare lacune e
distorsioni, come in Lombardia. Benissimo le autonomie, a condizione che non
creino diseguaglianze tra i cittadini, e siano varianti di piani unitari.
Ma è il
versante socio-economico a rappresentare il terreno di recupero dello Stato
come soggetto politico decisivo. Lo testimoniano gli 11 provvedimenti del
governo, tradotti in atti legislativi, a partire dal 23 febbraio sino al più
recente decreto legge, cosiddetto “Rilancio”. Non era scontato. Si assiste in
tutta Europa alla diffusione di istanze secessioniste, in fretta riconvertitesi
all’ipernazionalismo. Lo stesso fenomeno: estremizzazione delle differenze, esaltazione
delle contrapposizioni, incapacità di governare la molteplicità. E ugualmente
si avverte la crisi delle strutture internazionali, come l’Organizzazione
mondiale della sanità.
L’importanza degli strumenti per la rinascita
Se dunque alta è l’aspettativa nei confronti dello
Stato, anche perché difettano alternative, decisiva è la scelta degli
strumenti. C’è un crescendo di misure, sempre più imponenti ed estese, sino al
mastodontico decreto legge che apre la “fase 2“ della ripresa delle attività in
regime di convivenza con il virus. Un tempo indeterminato e comunque lungo. E’
un diluvio di norme, racchiuso in 256 articoli, 495 pagine, che valgono una
spesa di 55 miliardi, a fronte di un prodotto lordo perso di ben 150 miliardi.
E che, nonostante l’impegno preso, lascia ugualmente senza paracadute intere
categorie, soprattutto precari, lavoratori irregolari e al nero.
Questo intervento opera un allargamento del campo di
azione. Se prima in molti si erano lamentati della mancanza di attenzione da
parte dello Stato (turismo, cultura, scuola), ora sono state colmate le lacune
più vistose, e tuttavia rimane il quesito: quali sono gli obiettivi? Le risorse
messe in campo (a debito, si intende) sono pari a 1/decimo del bilancio dello
Stato, il doppio dell’ultima manovra, ripartite tra lavoratori dipendenti ed
autonomi, imprese, enti locali, sanità, turismo-commercio, agevolazioni
fiscali, categorie minori.
Non solo sostegno, ma anche sviluppo
C’è eterogeneità nella destinazione di questa cascata
di denaro e molte misure viaggiano anche nella direzione degli investimenti, però
il criterio prevalente è il sostegno alle persone danneggiate dal Covid per il
mancato reddito conseguito. Soggetti che hanno perso il lavoro e dunque sono
senza reddito, coloro che si sono dovuti fermare e non hanno potuto produrre ed
esportare. Si prova a dare loro una sorta di risarcimento, un ristoro che
permetta di non chiudere le attività, di sopravvivere.
Va detto che si tratta di una scelta inevitabile e
giusta perché il primo obiettivo deve essere quello di curare le ferite, di
mettere rimedio alle situazioni insostenibili. Ma è altrettanto vero che tutto
ciò non basta, che serve altro e molto di più. Nella scelta degli obiettivi. E
degli strumenti adatti. Le perdite ci sono e sono enormi, è persino velleitario
pensare di colmarle tutte. Inutile illuderci. Non solo mancano le risorse, ma non
si riuscirà mai a colmare il vaso, se perde in continuazione.
Il punto dovrà essere riuscire a riparare le falle e
aumentare la ricchezza disponibile. Lo Stato deve adottare anche misure
tampone, tuttavia non può rinunciare ad un disegno strategico. Significa compiere
riforme, garantire diritti, fissare priorità, individuare campi e settori che
possano trascinare il paese. Solo in questo modo l’economia può fare un
balzo in avanti. Infrastrutture, competitività, innovazione nei settori cardini
(scuola, giustizia, sanità, ricerca), semplificazione burocratica e fiscale:
sono i campi per i quali serve una cultura di governo moderna e preparata. Il
paese non potrà ripartire senza un cambio di passo della politica e delle
istituzioni.
* Leggi La
Voce di New York:
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