La magia di un classico
di Bianca Mannu
Marcel Proust! Niente si può raccontare oggi, senza averlo almeno un po' accolto, insieme con D'Annunzio, Svevo, dentro la nostra ambita intelligenza e coscienza letteraria. A molti lettori impazienti, innamorati della velocità cinematografica, Proust risulta noioso e ampolloso, oltre che snob.
Snob lo era; anche D'Annunzio. Ma Proust, come nessun altro, è capace di sezionare la presunta compattezza e linearità dell'evento narrativo per rivelarne invece i sottili meccanismi soggettivi, i nodi che il soggetto narrante ha voluto e dovuto intrecciare con le altrettanto sfaccettate soggettività, per renderle, mediante la lente della sua straordinaria sensibilità e finezza linguistica, miracolosamente vive.
E intanto, con gli stessi mezzi, è capace di mantenere la tensione dell'ordito e riconsegnarne al lettore l'effetto oggettivo della trama, ma ricca e vibrante delle pulsazioni e tensioni temporali dell'io o degli io narranti proustiani nei diversi segmenti temporali della ricerca, della loro apparente eclissi, del reperimento e della nuova inclusione nei palinsesti finali. Sempre che si possa dire <finale > per alcunché continui a esibire nell'opera il suo vitale fremito.
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