di Marina Zinzani
Pensando al giornalismo d’inchiesta, viene da pensare alla figura dell’archeologo, colui che va a ricercare dei frammenti, come fossero tasselli di un puzzle, in grado di offrire il quadro, seppur parziale, di una storia.
È una ricerca della verità che appassiona, che indigna, che fa venir voglia di approfondire, che sconforta, perché si pensa che qualcuno riesca sempre a farla franca e che quella verità non verrà mai a galla.
L’archeologo però è bravo. È empatico. È dalla parte giusta, e non si scoraggia. La sua ricerca è meticolosa, appropriata, coraggiosa, puntigliosa anche, e lui ci fa dono delle sue scoperte, di ciò che ha portato alla luce.
È un archeologo che cerca di dare voce a chi è finito in mare su un aereo, come nella vicenda Ustica, o a chi è sparito nel nulla come Emanuela Orlandi. Voci che non possono più dire nulla, ma lui ha cercato di accendere una luce sulla loro fine. L’archeologo diventa così ricercatore fra carte impolverate, fra persone defunte, e riesce a riportarci indietro, in quel passato che non sembra più tanto lontano, in un viaggio coinvolgente che porta tanti interrogativi.
Difficile parlare di Andrea Purgatori, ma lui era anche tutto questo. Onore ad un grande giornalista, per tutto ciò che ci ha regalato, per le sue inchieste e la sua professionalità, in grado di catturarci con le sue storie, con il suo coraggio.
Nessun commento:
Posta un commento