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Gli studenti e la società: l'invito a prendersi cura della comunità

(a.p.) ▪️Anno accademico 2025: gesti e parole che illuminano. A prendersi la scena sono stati loro, gli studenti. Lo hanno fatto per esempio a Padova (13 febbraio, Palazzo Bo), a Verona (7 febbraio, Polo Zanotto), altrove. Tutti attendevano i consueti saluti di circostanza e i discorsi di rettori, e personalità politiche: resoconti, promesse, assicurazioni. Lo stanco rituale di sempre. Invece, le cerimonie di inaugurazione dell’anno accademico hanno visto stavolta una serie di interventi che ha scosso il torpore, e fatto sobbalzare qualcuno.
Qualcosa di simile era avvenuto pochi giorni prima in altra circostanza rituale, l’inizio dell’anno giudiziario, quando, per la prima volta, i magistrati hanno protestato contro la riforma del governo sulla separazione delle carriere, indossando sulla toga la coccarda, e uscendo dalle aule al momento dell’intervento del rappresentante del ministro Nordio.
Stavolta nell’aula magna di storiche università, il clima era tutt’altro che stantio e paludato. Merito di molte parole profonde, come quelle del poeta-cantautore-visionario Roberto Vecchioni o di imprenditori e manager, esempi nel loro campo di innovazione e visione. A volte, pure, apprezzabili mecenati verso le istituzioni culturali. Ma poi sono intervenuti loro. Un altro tono. 
(Irene Lupi: UNIVR)
A Padova, Emma Ruzzon, 24 anni, presidente del consiglio degli studenti, ha scosso l’aula togliendosi platealmente l’elegante camicia nera che indossava – ha spiegato – perché l’occasione richiedeva formalità: «In giro ne vedo troppe, tanti dovrebbero togliersela in Italia», ha protestato contro il governo. Il colpo di teatro non era studiato solo per ricordare doverosamente l’ottantesimo anniversario della Resistenza. O magari per vivacizzare il discorso che stava svolgendo, una perorazione appassionata in favore della cultura come storia permeata dalle lotte, per la libertà, alla base della Costituzione. 
Il gesto serviva a sottolineare altro, oggi imprescindibile. Il fascismo, e ogni forma di violenza e sopruso antidemocratico, è di per sé multiforme, non riducibile solo a certe manifestazioni pur importanti ma datate, l’olio di ricino, le manganellate agli oppositori, o magari le stesse leggi razziali. C’è tanto altro, altrettanto, e più pericoloso, che continua a scorrere nelle viscere. Il controllo dell’informazione, lo sprezzo verso le diversità, la legittimazione delle violenze diffuse.
Persino una concezione del potere “dominante”, intriso di arroganza e intolleranza verso limiti e vincoli, a suo modo violento ed estremo. Di qui, viene da concludere, l’avversione alla libertà d’informazione, alla separazione dei poteri, all’indipendenza della magistratura. Il significato più efficace del gesto della Ruzzon è l’invito a saper leggere la realtà, a comprendere le insidie sempre nuove che il tempo ci presenta, perché «la storia ci insegna a leggere i segnali anche quando si presentano in modo diverso». 
(Roberto Vecchioni: fonte UNIVR)
Dunque, per allarmarsi «non è necessario vedere in giro le camicie nere», ma ciò non toglie che i simboli abbiano grande importante per le stesse ragioni, perché richiamano radici e convinzioni profonde. Il rischio è non saper/voler cogliere i segnali, non avvertire il pericolo, quel clima antidemocratico che sta prendendo piede un po’ ovunque, nel silenzio e nell’indifferenza. Il linguaggio dei simboli è sostanziale. Proprio il mondo accademico dovrebbe avvertire la necessità di scorgerli e interpretarli in tempo. 
Ne è parsa ugualmente consapevole un’altra studentessa, Irene Lupi, 21 anni, presidente dei giovani dell’ateneo di Verona. Durante il suo intervento, Irene Lupi ha parlato delle sfide e delle opportunità che l'anno accademico porterà per gli studenti. Ha sottolineato l'importanza di un ambiente universitario inclusivo e innovativo, dove ogni studente possa sentirsi accolto e supportato. Le parole e gli argomenti sono stati preceduti dalla presentazione personale (è stata eletta da poco), e sono allora risuonati con accenti più forti dopo l’avvertenza iniziale: «Fare rappresentanza significa assumersi la responsabilità collettiva della comunità, partecipandone alla cura».
Rappresentanza e partecipazione, concetti affatto scontati, che non godono di buona nomea. Il periodo segnala il contrario: la sfiducia verso i sistemi di rappresentanza, visti, nella migliore delle ipotesi, come ostacoli frapposti al potere decisionale del vincitore di turno, interprete insindacabile della volontà popolare, ovvero di tutti, compresi quelli che non l’hanno votato. Ancora più, il momento si accompagna alla crisi della partecipazione, ridotta al simulacro dell’applauso osannante dei sostenitori.
(Fonte: Quirinale)
Si sottace che la compressione del diritto all’informazione (per esempio riguardo alla citazione delle fonti nelle vicende giudiziarie), l’eccesso di criminalizzazione della vita sociale oltre ogni ragionevole istanza (fattispecie penali ritagliate sull’emotività della cronaca) sono fenomeni involutivi. Fanno regredire il diritto e la convivenza civile. In forma diretta o indiretta, condizionano la formazione del pensiero critico, lievito prezioso della democrazia.
Che il richiamo alla vitalità del pensiero libero e audace, e delle sue manifestazioni nella rappresentanza istituzionale, risuoni nelle aule della formazione è un segnale di grande conforto. Che poi a rivendicare il messaggio siano gli studenti, i giovani, pare un esempio di speranza civile in un’epoca così buia. Il futuro potrebbe non essere solo nel passato, come ha segnalato nell’intervento Roberto Vecchioni.
Si avverte un richiamo forte al senso profondo della democrazia, che rende meno stridente e isolata la rassicurazione espressa dal presidente Sergio Mattarella: «Nessuno qui è straniero, sono tutti in casa propria gli studenti presenti in questo Ateneo, specchio del mondo con le sue preziose diversità che sono anche ricchezza che arricchisce vicendevolmente». Parole che, per la forma e l’occasione, erano rivolte agli studenti e ai professori dell’Università per stranieri di Perugia. 
Eppure ne hanno fatto tesoro gli altri studenti che sono intervenuti a celebrare l’anno accademico. Noi tutti poi le abbiamo sentite nel cuore come dirette a ciascuno, rivolte a chiunque, non importano l’opinione o la sensibilità, qualunque sia il ruolo nella società.

(Foto Emma Ruzzon: Il Mattino di Padova)

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