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Esondazioni ed erosioni, scivolando sulle metafore

(a.p.) ▪️Il terremoto dei dazi trumpiani non distrae il governo, sempre vigile su tutto. Il grido d’allarme era stato lanciato, a tempo debito, dal ministro della giustizia Carlo Nordio, che aveva messo in guardia sulle “esondazioni” (erano le decisioni giudiziarie sui rimpatri in Albania, sgradite al governo).
Ora il tema è ripreso dal sottosegretario Alfredo Mantovano, un fedelissimo di Giorgia Meloni, al Consiglio nazionale forense.
Le esternazioni spaziano dal naturalistico all’infrastrutturale, quest’ultimo di competenza di Matteo Salvini che però al momento è indaffarato (il suo di trasferimento, agli Interni). In tempi di immanente recessione economica per via delle follie a stelle e strisce, la denuncia è chiara, e c’è poco da stare allegri. Si «erode la sovranità popolare», si «deraglia dai confini» e si «decide le politiche». E stavolta il soggetto non è circoscritto, le toghe rosse, che pure ci mettono il loro, aizzando o fomentando. Non riduciamo infatti – puntualizza saggiamente Mantovano - la cosa ad una macchietta.
(Cogne, alluvione)
L’attacco è alla magistratura in sé, accusata di disapplicare le leggi, per esempio sull’immigrazione, per «arginare l’esito del voto». Si direbbe, da fuori, un abuso, un atto eversivo. Non ci sarebbe bisogno d’altro, ma lui precisa, impartisce un’imbarazzante lezione sui concetti di giurisprudenza creativa e di interpretazione estensiva delle norme, e sul rapporto tra giurisdizione e sovranità popolare. Meglio, su quello che lui e il governo immaginano sia la correlazione.
Con queste basi, la conclusione, ardita, è inevitabile: la magistratura addirittura «seleziona con le sentenze chi deve governare». L’applicazione della legge (in Italia, come in Francia nel caso Le Pen) è mal vista dal potere, intollerante a limiti e controlli. L’eletto in quanto tale è sopra la legge, esente da censure di legalità. Nessuno mi può giudicare.
Nello sconcerto di simili frasi, si comprende il commento: «Se davvero pensano che le cose stiano così, ricorrano alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione» (Stefano Celli, vicesegretario Associazione nazionale magistrati). L’avvertenza finale di Mantovano lascia il segno, sacrosanto ammonimento. Si provocano «tensioni che si apprestano a incidere sulle fondamenta stesse degli Stati democratici di diritto». Parlava del governo?

(Altre riflessioni su Critica liberale, 13.4.25)

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