Andare per mare. Su una barca. La fragilità della vita di fronte ai
tanti ostacoli
di
Paolo Brondi
"Mio
caro amico, cos’è la nostra vita? Una barca, che muove galleggiando sul mare,
di cui solo questo si sa con certezza, che un giorno si capovolgerà" (Fiedrich Nietzsche, lettera a Overbeck del 14 novembre 1881). L’immagine di una barca, che si culla sulla superficie appena
increspata del mare, è, per Nietsche, visione della serenità greca e metafora dell’anima,
rasserenata dopo la tempesta; simbolo di racchiusa felicità e di galleggiante
leggerezza.
Si
carica, inoltre, di suggestioni letterarie e dei valori semantici di una
tradizione che va dalla barca di Caronte alle metafore della navigazione e
della bonaccia di Schopenhauer, creando nel suo pensiero importanti analogia
fra l’arte, il sogno e l’armonia musicale.
L’arte viene intesa come pausa di quiete e di riposo dalla lotta e,
insieme al sogno e alla musica, sospende il divenire e viene assimilata alla
armonia musicale, al mare e alla barca.
Il
dondolio, l’oscillazione quieta e regolare, evoca l’effetto soporifero del
cullare, e suggerisce l’origine del ritmo che è imitazione dello sciacquio dell’onda.
Nella nascita della tragedia, il “battito d’onda del ritmo” è segno di musica
apollinea distinta da quella dionisiaca, musica di Chopin che acquieta l’anima;
musica di Wagner che risveglia le passioni, ma manca di solitudine e consente
la malsana vicinanza della folla, del popolo “gregge”, delle “bestie
elettorali”.
Segnale
dell’apollineo è dunque la musica ritmicamente costruita, né melodica, né
trascinante o violenta. L’orizzonte semantico del movimento cullante, che così
si amplia, comprende pure, oltre alla visione apollinea, alla musica e al
sogno, il periodo molto felice dell’adolescenza, tutta paga di sé e non ancora
volta verso il futuro; la purpurea felicità della quiete dopo la traversata e
la tempesta degli anni di maturità; la malinconica felicità del tramonto pronta
al commiato e alla notte.
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