Aggrediti,
picchiati, malmenati, talvolta colpiti a morte, da gruppi di minorenni. Senza motivo.
Le chiamano baby gang, scorrazzano nelle nostre città, impunemente, dissennatamente
di Paolo Brondi
La morte sorprende, e sfugge alla conoscenza quando
interviene a troncare la vita di un ragazzo, ancora intento a progettare il
significato della sua vita. Provoca vertigine, profonda lacerazione e doloroso
sentimento dell'instabilità di ogni cosa.
La visione della morte che, in contemporanea e
tragicamente, i media trasmettono, penetra profondamente nel nostro sguardo
interiore, nella mente, nella già perplessa coscienza dei tanti mali
dell'odierna realtà, provocati non solo dalla vita disperata di adulti, ma
addirittura da baby gang.
Dall'orrore per il tragico spettacolo dell'Italia smembrata
da ricorrenti episodi di criminalità, dalla morte, da crisi non più striscianti,
occorre sollevarsi. L'assurdo non avrebbe fine se ci si riducesse
all'esperienza amletica dell’impossibilità del nulla, o al commercio delle
tante parole e delle vuote promesse.
Occorre colmare il vuoto di senso oggi alquanto
diffuso e, in particolare, è urgente sottrarre le giovani generazioni ai
pericoli dell'assenza di regole in cui tante innominate responsabilità le hanno
precipitate. E sarà esercizio di democrazia, da parte dei politici,
riprogettare il risanamento del territorio, del vivere civile,
dell'investigazione e prevenzione del crimine, per non ridurre ogni riforma a
pura retorica predicazione.
Il problema che a queste annoiate e deboli menti bisognerebbe insegnare la speranza. Solo così eviterebbero di buttarsi via in nome del niente. Eviterebbero di rispondere in automatico ai bisogni della carne, del branco che ci vuole così spietati come la vita gli appare. A loro e anche forse ai genitori.
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