L’immagine
della giovane islamica a capo scoperto che sventola il proprio “velo” bianco è diventata un simbolo del movimento per i
diritti delle donne. Contro l’oscurantismo della legge coranica che impone loro
di coprirsi il volto. Un segno intollerabile di discriminazione ed oppressione
di Angelo Perrone *
Ha fatto
il giro del mondo ed è diventata virale sul web l’immagine
di quella ragazza in una strada centrale di Teheran durante i giorni della rivolta. Su un
piedistallo di fortuna, a volto scoperto, con i capelli neri sciolti sulle
spalle, senza il velo a coprire la testa, come invece è d’obbligo in Iran
secondo la legge islamica. Composta, indossava un abbigliamento affatto
ostentato o provocante, forse una semplice tuta scura. Era lì, a sventolare con
un bastone proprio il suo hijab
bianco, con calma e dignità, nella sorpresa dei passanti (maschi) più vicini e
forse nel disinteresse di quelli appena più lontani.
Una immagine
che, da sola, è diventata però un simbolo, tra gli altri, delle sanguinose
proteste antigovernative di questi giorni. Poi trasformata, quella breve
sequenza rubata da un osservatore occasionale, in un disegno raffigurante una figurina nera con il piccolo
drappo bianco su uno
sfondo blu. Un’astrazione stilizzata della persona e del gesto, a raffigurare –
oltre la singolarità di quella persona e del suo destino – una forma appunto
iconica della rivolta contro le opprimenti regole imposte dai governanti
islamici del paese.
Ali Khamanei, guida suprema politica-religiosa più del presidente Hassan
Rouhani, può reagire alla rivolta e ai suoi simboli, scagliandosi (inutilmente)
contro i nemici esterni dell’Iran, ovvero l’America di Donald Trump, accusata di
aver aizzato e sostenuto le proteste con ogni mezzo lecito e illecito, dai
soldi alle armi, allo scopo di destabilizzare il paese e creargli problemi
interni, e ciò per contrastare in ogni modo l’accordo sul nucleare concluso dalla
precedente amministrazione di Barak Obama.
Può
seguire questa linea Khamanei nonostante che i motivi delle poteste siano tutti
legati alle condizioni materiali della popolazione. Il pretesto iniziale costituito
da un aumento vistoso dei prezzi di beni essenziali (uova, carni), cui è
seguita la denuncia della crescente disoccupazione e della corruzione politica,
oltre alla critica delle guerre condotte per procura in paesi vicini come la
Siria e lo Yemen. In ogni caso una dilapidazione delle risorse economiche
nazionali.
Un’accusa
tutta interna dunque, rivolta contro la cattiva gestione economica da parte di
tutti i dirigenti, dai più conservatori a quelli apparsi più moderati. Subito
stroncata, la protesta di piazza, dai governanti perché qualificata addirittura
come una «guerra contro Dio», dunque da reprimere anche nel sangue. Costo finale
dell’operazione: 24 vittime tra cui un bambino di 11 anni e 450 arresti.
Il
tentativo di minimizzare il significato delle manifestazioni sanguinose
scoppiate a cavallo della fine d’anno, e fornirne una deviata chiave di lettura,
è stato così prepotente e assordante da travolgere anche la storia di quella
ragazza sul piedistallo, di cui infatti poco è noto e poco è trapelato se non
che – non ve n’era da dubitare – è stata subito arrestata per quel gesto
proditorio.
Lo ha
rivelato sul web il gruppo al quale apparteneva, My stealthy
Freedom (La mia libertà clandestina), movimento sviluppatosi su
Facebook a sostegno dei diritti delle donne per iniziativa dell’attivista
iraniana Masih Alinejad: la ragazza partecipava ad una campagna di propaganda denominata,
emblematicamente, WhiteWednesdays (Mercoledì
bianco).
È sparita
dunque nel nulla la giovane che protestava contro l’imposizione del velo, opponendosi
così alla regola ferrea imposta dalla legge islamica, pena l’arresto e
l’obbligo di frequentare corsi di rieducazione, in un paese in cui la donna è
tanto priva di diritti da non potersi nemmeno mostrare a capo scoperto. A dimostrazione,
questa assenza di comunicazioni ufficiali e di notizie, che l’oscurità del potere
teocratico, ispirato dall’applicazione più ottusa della legge islamica, investe
non solo il funzionamento delle istituzioni ma la stessa soggettività delle
persone.
Eppure
quella simbologia di libertà non può prescindere dalla particolarità della storia
personale di una giovane donna, dalla concretezza di quell’esperienza, dai
motivi specifici della protesta, e infine dalla umanità propria del gesto. Nei
giorni successivi vi è stata l’apparizione misteriosa, sul precario
piedistallo, di lettere e fiori che ricordavano, silenziosamente ma
affettuosamente, il piccolo gesto compiuto a prezzo della libertà. La vicenda
ha una sua propria dimensione di senso, che la rende certo intrecciata, anche
temporalmente, al complesso delle manifestazioni di questi giorni, ma che
insieme la distingue e segnala in modo particolare.
Il colore
bianco del velo, sventolato pacatamente sulla strada, come del resto il
riferimento a quello del mercoledì della protesta, non è più espressivo di una
resa davanti al pericolo incombente, di un’impotenza a contrastare le minacce e
le insidie del potere.
Piuttosto
racconta il candore onesto delle ragioni rivendicate dalla giovane senza
strafottenza né baldanza, quasi nella fiducia che esse, per il loro intrinseco
valore, siano – di per sé – così salde da potersi affermare anche in quel paese
e senza alcuna violenza.
Il
fazzoletto dell’oppressione cambia improvvisamente natura e consistenza, oltre
che colore. Il gesto, lo sventolare il velo tutto bianco, diventato così quasi
una bandiera, è compiuto sommessamente ma con convinzione, su una delle strade
più trafficate del centro, dunque nel cuore della città e davanti a tutta la
collettività, in modo teneramente visibile e garbato. Nella convinzione che
possa essere accolto e condiviso, se non nel presente in un futuro ormai
prossimo.
Il bianco
è capace di creare un improvviso contrasto tra l’ombra della violenza di Stato
e la luce delle rivendicazioni liberali, coltivate con stupefacente semplicità
e naturalezza, senza alcuna arroganza. E di far risaltare proprio le ragioni di
libertà così sostenute e rivendicate. Un episodio che sa essere luminoso e
spiazzante, come l’immagine che ne rimane, ritratto dell’atto di coraggio di
una giovane donna a nome di tutte le altre, e documentazione di una lacerazione
diventata insostenibile nel tessuto sociale di quel paese.
* Leggi anche:
Nel gesto della
giovane donna in Iran, il candore onesto dei diritti che mancano di Angelo Perrone,
La Voce di New
York:
Profonda ammirazione verso il coraggio di questa ragazza, sola contro tutti.
RispondiEliminaMi fa riflettere ancora una volta sull'importanza dell'essere uniti contro ogni tipo di ingiustizia.