di Laura Bonfigli
Il Demonio in
sagrestia (Pagine Letterarie, 3/9/14), breve, ma intenso racconto di
Paolo Brondi rientra a pieno titolo nel genere noir: che la morte di fra
Martino si risolva in un suicidio piuttosto che in un omicidio, a mio avviso, è
del tutto ininfluente.
Del giallo ci sono tutti gli ingredienti essenziali: una morte violenta e misteriosa, un luogo sacro, profanato dall' oscura presenza di un cadavere, un ispettore inizialmente un po' scettico e distratto, ma attento ai dettagli che, seppur minimi, lo portano a seguire la pista giusta, una serie di personaggi, apparentemente secondari, in realtà compartecipi e presenti sulla scena al momento giusto e nel posto giusto.
La struttura
narrativa funziona, perché è perfettamente congegnata: i fatti scorrono veloci,
sono felicemente concatenati e suscitano suspence nel lettore di turno. Ma l'aspetto più avvincente di
questo testo agile e dinamico è l'impronta introspettiva che gli conferisce
l'autore, osservatore attento e raffinato conoscitore della psiche umana. Paolo
Brondi, infatti, non rinuncia a scavare nei meandri dell'animo umano in cui,
"quando l'inaspettato che aspettavamo accade" l'amore esplode in
tutta la sua virulenza. Del resto, come scrive Sthendal "la passione non è
cieca, è visionaria".
Questa è esattamente
la condizione psicologica del povero fra Martino che, attratto da Elvira, una
giovane laureata in lettere classiche e sua collaboratrice nel lavoro di
traduzione dei testi sacri, ne è ammaliato in modo irresistibile al punto da
scivolare nel delirio, ben evidenziato nel testo da un linguaggio sempre più
frantumato e disarticolato.
La pulsione naturale
che fra Martino identifica col possesso diabolico, repressa da una vita di dure
regole ed imposizioni, esplode in tutta la sua forza incontenibile ed assume i
contorni della passione più aggressiva. Ma se la passione, in senso etimologico
significa "patire l'altro", questa è la condizione di chi non
possiede più se stesso, ma è spodestato da se stesso e posseduto dall'altro. E'
in fondo la felicità o ebbrezza che tutti inseguiamo nel corso della vita,
perché ci porti fuori da noi stessi anche per un breve attimo; ma quando arriva
ci scuote e ci sconquassa fino alla radice perché, come sottolinea Umberto Galimberti
nei suoi saggi, è una forza che non dipende da noi, ma dall'altro a cui abbiamo
consegnato l'anima.
Nessun commento:
Posta un commento