di
Paolo Brondi
Ci sono tempi vicende e giorni in cui il sentire si
allinea con la nausea di Sartre
(J.P.Sartre, La Nausea, Einaudi, 1978) e, in particolare, con il
pensiero-meditazione del protagonista, Antonio Roquentin, che così si esprime:
"Quando si vive non accade nulla. Le scene cambiano, le persone entrano ed
escono, ecco tutto". Proseguendo la lettura s'incontra l'amaro resoconto
di esperienze comuni: "I giorni si aggiungono ai giorni, senza capo né
coda, è un'addizione interminabile e monotona... non c'è mai un inizio".
E' il tragico paradosso del vivere una quotidianità senza metamorfosi, senza
quello sguardo che si sofferma, con una luce nuova, su cose e persone, donando
loro una forma che possa generare ancora meraviglia e stupore. Se si è poveri
di questa strategia di lettura del reale si ricade nell'ulteriore paradosso sartriano
perché “. Nemmeno vi è una fine, non si lascia mai una donna, un amico,
una città tutto in una volta". Viviamo tra Scilla e Cariddi, inizio e fine
sono lampi di cui la percezione non riesce a trattener nulla perché incessante
è la sfilata delle ore e dei giorni "Lunedì, martedì, mercoledì. Aprile,
maggio, giugno". Eppure il rimedio a questo tipo di vita va trovato. Lo suggerisce
lo stesso Sartre scrivendo: "Vivere è questo. Ma quando si racconta la
vita tutto cambia". Si può raccogliere tale ipotesi sia come narratori che
comuni mortali visto che può essere vero che, quando si racconta, gli eventi
vengono padroneggiati e non c'è un inizio o una fine che dilegua, ma la fine
può coincidere con l'inizio e viceversa ed è questa la legge dell'avventura
creata. E, tuttavia, la vita reale non è un'avventura né sempre oggetto di
racconto, dunque il paradossale riemerge sempre, destando nostalgici commenti:
"Avrei voluto che i momenti della mia vita si susseguissero e
s'ordinassero come quelli di una vita che si rievoca. Sarebbe come tentare
d'acchiappare il tempo per la coda".
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