Legati alla rabbia: la
condizione delle vittime, l’importanza di rialzarsi
di Marina Zinzani
Jennifer
Aniston e il perdono. Capitolo secondo. Lei ha accettato le scuse di Brad Pitt
e ha detto che lo perdona, e di concentrarsi sul futuro.
Ha
molte sfumature il perdono. Ce n’è una discutibile, che è trattata dai media
molto spesso, quando ci sono gravi fatti di cronaca. Il giornalista prontamente
chiede: “Ma lei perdona? L’ha perdonato?”. La vittima, o il parente della
vittima, rischia di essere additato, di essere in difetto se non risponde
prontamente “Sì, lo perdono”.
E’
un comportamento, quello del cronista, che provoca rabbia e lascia sgomenti. Si
avverte subito che qualcosa stona, sta avvenendo un atto sgradevole, in qualche
modo feroce. Perché il perdono è cosa privata, e qui si urla in piazza, il
perdono diventa una moda e se non ci si conforma non si è dalla parte giusta.
Aberrazione che si unisce alla violenza subita.
Non
è semplice percorrere la strada del perdono, soprattutto se uno non è credente.
E anche se credente lo è, la fede vacilla di fronte a certi fatti di cronaca.
Dio sembrava distratto in quel momento, si pensa questo, si arriva a pensarlo
anche se la fede è stata fino ad allora compagna di vita.
Certo
il perdono arriva nel silenzio di una stanza, durante una passeggiata nei
boschi, in un momento in cui si percepisce la persona cara, o anche se stessi
offesi, e sembra che tutto faccia parte di un percorso, da cui poi bisogna
rialzarsi.
Il
grande è quello che poi si rialza, ha detto qualcuno. E quando lui si rialza apre
le mani, lascia andare, e in quel lasciare andare, perdonare forse, si allenta anche
il legame con il proprio carnefice.
Le
strade del perdono sono segrete, silenziose, hanno tempi che possono essere
lunghissimi. Al di là della fede, il perdono pone in una situazione di
superiorità, si abbandona per un attimo il ruolo di vittime. E permette di
andare oltre, e di riprendere in mano la propria vita.
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