(foto F. Silvi) |
(ap)
La torre più famosa al mondo, vestita a festa e piena di luce nelle chiare ore
notturne, regala, non solo durante la classica “luminara” del giugno pisano,
suggestioni sconosciute ai passanti che, percorrendo silenziosamente le strette
strade laterali, di colpo s’imbattono in questa maestosa costruzione nel “Campo
dei Miracoli”, la piazza che le offre una singolare sistemazione urbanistica.
Il paesaggio della città, la sua storia, il patrimonio d’arte che racchiude sono indissolubilmente legati a questo edificio e a questa piazza, dichiarati “patrimonio dell’umanità”.
Il paesaggio della città, la sua storia, il patrimonio d’arte che racchiude sono indissolubilmente legati a questo edificio e a questa piazza, dichiarati “patrimonio dell’umanità”.
La
torre di Pisa, realizzata tra il XII e il XIV secolo, manifestò, fin
dall’inizio della sua edificazione, quella singolare pendenza che l’ha resa
ancor più celebre nel mondo. Posta su un terreno argilloso e sabbioso, si
inclinò durante la costruzione del terzo piano, tanto che si dovettero
sospendere i lavori, costruendo poi i piani successivi con una curvatura in
senso opposto alla pendenza, fino al suo completamento, con la realizzazione
della cella campanaria, riuscendo a mantenerla in equilibrio perché la
verticale che passa per il baricentro cade all’interno della base di appoggio.
Da allora, divenne “la torre che pende, che pende, e mai viene giù”, secondo il
classico motivetto canoro pisano.
I suoi otto piani, sino a 56 metri di altezza, sono circondati, secondo lo stile proprio dell’architettura pisana, da logge con archi a tutto sesto che riprendono il motivo della facciata della cattedrale. La torre ne costituisce infatti il campanile, ma è collocata insolitamente in posizione defilata e separata dal corpo dell’edificio, e costituisce una sorta di perno visivo della piazza e della città, al centro dell’antico asse viario della via Santa Maria.
Le tre rampe interne di accesso all’ultimo piano circondato da una balaustra di ferro offrono l’imperdibile sensazione di una “salita in pendenza continua”, sotto l’attrazione crescente della forza di gravità che raggiunge il suo culmine nella parte mediana del tragitto. Il corpo, sospinto magicamente verso l’esterno, è esposto all’insicurezza e all’instabilità, ma poi è provvidamente richiamato verso il centro quando si raggiunge la parte opposta delle scale.
In cima alla torre, sull’anello superiore, pur esso inclinato da un lato, il senso di sperdimento e di insicurezza è attutito dalla visione, nel grande prato verde che la circonda, delle migliaia di bracce sollevate in alto con cui i turisti di ogni parte del mondo non cessano di sostenere ogni giorno la torre, almeno per un attimo, sul lato pendente, conservandone poi, felici come bambini, un’immagine fotografica.
Le sette grandi campane, che vi furono collocate nel tempo, suonavano in occasione di particolari eventi liturgici ed una di esse, la San Ranieri, era chiamata originariamente “Giustizia” perché si trovava nell’omonimo palazzo e veniva impiegata per avvisare gli abitanti della morte dei traditori.
Tra mito e realtà, viene da immaginare che rintocchi profondi e lunghi di questa campana dovettero scuotere l’intera città per annunciare la morte del Conte Ugolino, la cui tragica fine, raccontata da Dante nel XXXIII canto dell’Inferno ("Poscia che fummo al quarto dì venuti..”), non gli evitò di essere iscritto nel terribile cerchio dei traditori.
Una volta giunti nel punto più alto, dove maggiori sono l’inclinazione e la forza attrattiva della terra sottostante, appare sorprendente che questo luogo possa essere legato, secondo la leggenda, al nome di Galileo Galilei, che lo avrebbe utilizzato per l’esperimento della caduta dei gravi, con il quale egli, gettando dall’alto una palla di ferro ed una di legno, dimostrò, diversamente dai principi della fisica aristotelica, che oggetti di peso diverso cadono sempre alla stessa velocità.
Inducendolo a scrivere: “Vi assicuro che una palla di artiglieria, che pesi cento, e anco più libbre, non anticiperà d'un palmo solamente l'arrivo in terra della palla d'un moschetto, che ne pesi una mezza”.
Inducendolo a scrivere: “Vi assicuro che una palla di artiglieria, che pesi cento, e anco più libbre, non anticiperà d'un palmo solamente l'arrivo in terra della palla d'un moschetto, che ne pesi una mezza”.
Il mistero che si cela intorno a questa leggenda raccoglie e conserva per i tempi moderni un monito prezioso contro l’umana incredulità.
Ho qui in Pisa una certa strada deliziosa, che io chiamo Via delle rimembranze: là vo a passeggiare quando voglio sognare ad occhi aperti.
RispondiElimina(Giacomo Leopardi)