L’importanza di una figura che sappia accompagnare il futuro
(Angelo Perrone) Ogni elezione è una storia a sé, con le sue dinamiche, suggestioni e variabili. Eppure ciascuna è anche una straordinaria cartina di tornasole dello stato del Paese e delle sue istituzioni.
Il momento politico non mostra il Parlamento in grande salute, come corpo in grado di assicurare la stabilità e le buone pratiche di governo. La complessità che rende decisiva l’elezione del capo dello Stato deriva strettamente dalla debolezza dei partiti, dalla loro incapacità di offrire visuali e sogni ai cittadini.
Si cerca allora una guarigione al malanno nella scelta della massima magistratura dello Stato. Sperando che serva a coprire magagne e deficienze. Si scartabellano le pagine della Costituzione per ricavarne lumi, come se non si conoscessero compiti e funzioni.
Si svolge una ricerca affannosa per decifrare il ritratto ideale, scrutando le righe della Costituzione come se lì fosse leggibile persino il nome: chi può essere il nuovo Mattarella? Non sarebbe diverso se si decidesse di interpellare l’oracolo. Oppure di invocare la Provvidenza. Tutto piuttosto che domandarsi, secondo la celebre frase di John F. Kennedy, cosa noi possiamo fare per il nostro Paese.
Nei ritratti di tutti i presidenti si ritrova la storia comune. Ognuno poi può aggiungere ricordi personali, la cui ampiezza dipende dall’età e da qualche lettura in più.
In passato sono state votate figure di ogni orientamento, da Luigi Einaudi a Carlo Azeglio Ciampi, a Sandro Pertini, senza che la “coloritura” fosse un problema. Era indiscussa la levatura morale e civile dei personaggi, tanto che per esempio, dopo il discorso di insediamento di Pertini, simbolo della resistenza e della sinistra storica, il leader del Msi Almirante ebbe a commentare: «Ci ha costretti ad applaudirlo».
A questa esegesi dal sapore catartico non sono sfuggite le parole di Sergio Mattarella nell’ultimo discorso di fine anno, un messaggio dal doppio significato, saluto alla Nazione e ringraziamento per la vicinanza del popolo italiano che «non l’ha fatto mai sentire solo» in una fase tragica come l’emergenza virus.
L’indisponibilità ad una eventuale rielezione è stata accolta con preoccupazione da quanti speravano nel contrario. Ma è sfuggita una lettura meno strumentale e contingente dell’intenzione di non ricandidarsi, cosa che pure sarebbe costituzionalmente lecita. Lasciare un incarico rappresenta una scelta complicata, quale che sia il ruolo. Lo è ancora di più se la platea applaude e reclama il bis.
Chiudere una fase della vita è arduo ad ogni livello, dal più piccolo a quello di maggiore responsabilità, e non aiutano gli onori e le gratificazioni. Alcuni, del ritiro tra le quinte, ne hanno saputo fare una pratica costante, con qualche furbizia di troppo. In vista di futuri vantaggi. Vale per costoro la regola ferrea di non inseguire a tutti i costi le poltrone, per conservare ogni chance e rimanere disponibili a tutto, o quasi.
Qui invece, a proposito di Mattarella, si parla d’altro, della consapevolezza di accettare il tempo che passa, di riuscire a vivere il ruolo in una dimensione contingente, si direbbe pienamente storica, al passo con la società che cresce e si rinnova. Così, proteggendo il diritto del futuro a nascere. Le parole di Mattarella sulla pandemia e sui giovani sono risuonate perché legate a questa concezione del tempo, che altrimenti può travolgerci.
Le rassicurazioni contro la pandemia si basano sul progresso della scienza, dipendono dall’efficacia delle vaccinazioni. Però sono più convincenti quando espresse da chi, di tempeste, ne ha attraversate tante e non ha perso la fiducia. A proposito delle nuove generazioni, Mattarella nel suo addio ha usato le parole di un altro “congedo”. Quelle rivolte agli studenti, al momento del pensionamento, dal professore Pietro Carmina, morto poi nel crollo del palazzo a Ravanusa. «Giovani siete il presente, non siate indifferenti, prendetevi il futuro».
Concetti appassionati, che possono essere detti in modo credibile, ad una condizione. Se si è capaci di lasciare il testimone, di consentire che altri facciano la loro strada, trovando il modo di esprimersi nella vita. Riferendosi ai “nuovi italiani”, portatori della loro libertà, Mattarella parlava in fondo anche di sé, e di ciascuno. Indicava un modello di virtù civica.
Si può coltivare la speranza se il mondo non finisce con noi stessi, qualunque sia il modo – anche egregio - con cui si è svolto il ruolo assegnato. E dobbiamo essere consapevoli che nemmeno l’Italia finisce qui, una volta esaurita la prova dei più nobili rappresentanti.
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