di
Marina Zinzani
(ap) La vita
offre mille occasioni per sentirsi fragili e soli, esposti ai pericoli, alle
insidie: possono essere gli attacchi violenti dall’esterno, la furia del
terrorismo, l’assurdità del crimine e del sangue innocente, oppure le angosce
che attanagliano l’animo, e rendono la persona tragicamente nuda. Come quella
donna ritratta da Felice Casorati nel 1921, inerme nella sua nudità davanti all’immagine
di un’armatura che non può proteggerla.
Persone,
tante persone. Paura dei luoghi troppo affollati. Paura dei luoghi chiusi. Paura della notte, e
anche del giorno.
Cercare armature per mettersi al riparo. Armature assurde: di latta, di cartone, di nulla. E alla fine sentirsi un’unica cosa: vulnerabili.
Cercare armature per mettersi al riparo. Armature assurde: di latta, di cartone, di nulla. E alla fine sentirsi un’unica cosa: vulnerabili.
Un
camion si precipita su un mercato, variabile infinita del male. Troppo pesante
proteggersi cambiando le abitudini, la vita reclama, con i fiori, i colori, con
i momenti preziosi, con le persone che si amano, con i regali, con le cene, con
le sorprese improvvise, con la voglia di un viaggio, con la bellezza di un
viaggio, con il piacere di essere in un altro luogo, luogo da scoprire, con il decidere
la propria giornata che può essere piena di colori, sensazioni: vita che scorre, come un
fiume, con ciottoli, sassi, e fiori sulle rive.
Felice
Casorati aveva dipinto un singolare quadro, “La donna e l’armatura”, e la donna
ha un sguardo malinconico, mentre siede nuda, accanto ad un’enorme, grottesca
armatura. Sembra raccontare qualcosa di
familiare questo quadro, sembra che parli sottovoce di paure, di armature
impossibili da portare, e di come ci si senta nudi, indifesi. La vita è là
fuori, oltre il vetro, la vita e la leggerezza
perduta.
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