Una lettera che riporta al tempo passato e suscita
nostalgia, mentre la vita è così cambiata
di Paolo Brondi
Gianna continuava a leggere e rileggere la lettera che
le era stata recapitata. Era Roberto che scriveva: "Il tempo se ne va e l'immagine tua è sempre qui,
nel mio segreto mondo di rappresentazioni e di sentimenti e nel pensiero di
dove sei, di cosa stai facendo, pensando, amando.
Il tempo se ne va e consuma le cose più belle, le nostre cose, la nostra giovinezza e un amore apparentemente assurdo, che non mi travaglia, ma mi addolcisce e si fonde con quel sentire che ha in te un nostalgico orizzonte, e ispira le mie scelte di ogni giorno.
Il tempo se ne va e consuma le cose più belle, le nostre cose, la nostra giovinezza e un amore apparentemente assurdo, che non mi travaglia, ma mi addolcisce e si fonde con quel sentire che ha in te un nostalgico orizzonte, e ispira le mie scelte di ogni giorno.
Due sentimenti. Malinconia per verità nascoste e
drammaticamente ricorrenti, per quel rivolgimento nella mia vita che se ha
portato giorni radiosi, il nostro amore, pure ha favorito un succedersi di
sofferenze e di duri confronti: il distacco, la lontananza dalla famiglia,
l'assenza di ogni tua notizia. Una malinconia che un poco si attenua, nella mia
quotidianità, quando trovo occasioni di rinverdire il ricordo di te attraverso
un tempo che non corre innanzi, ma quasi si ferma.
Mi è accaduto anche ieri, quando ho ritrovato il tuo
indirizzo ed ho preso a scriverti, sentendomi dentro un tempo di diversa durata
rispetto alle ore del giorno, un tempo immobile, ma non rigido, bensì colmo dei
doni della memoria di te, di me, uniti in questo profumo di selva e di sabbia. Struggente
è in me il ricordo dei nostri baci, quanti baci e carezze, ricordi? Non
ascoltare voci diverse da queste mie, ho seminato gelosie, specie fra i
colleghi, ma non ho le colpe di cui mi è giunta notizia. Tornerò presto e avrò
bisogno del tuo aiuto.”
Gianna sentiva crescere in sé l’ambiguità fra il piacere
della lettura e la vigile riflessione sull’insperata sorpresa di un contatto
che ora le appariva troppo poetico, quasi esaltato. “Sì, va
bene-commentava-situazioni uniche e coincidenze pazzesche, emozioni da film,
questo è vero, ma le circostanze, i significati e i contesti di allora mi
appaiono ora artefatti, lontani, quasi manipolati. E poi che crede? Che tipo di
aiuto richiede e io come potrei aiutarlo? Gli è giunta notizia delle dicerie su
di lui e perché non ha cercato di darmi sue notizie, di spiegarmi tutto quel suo
silenzio? Pensare al passato genera in me disagio, una sensazione di imbarazzo,
di malessere, di qualcosa che fatico a cogliere, oggi che mi sento diversa e
non sento più la paura di ricadere un’altra volta nel desiderio irrefrenabile
di lui”.
Quel messaggio le sembrava un nuovo gioco seduttivo che
si insinuava nella quiete del suo vivere, creando una complicazione
esistenziale ove il puro possibile annaspava nel conquistare la propria
certezza. Aldilà delle sue fascinose interrelazioni e di quel gioco epistolare con
cui lui evidentemente cercava di sciogliere malinconia e nostalgie, Gianna ora
tornava a desiderare una verità non immaginifica, ma utile a maturare la
capacità di affrancarsi dalla seriosità della propria esistenza, magari
imboccando altre vie, o le solite vie familiari, ove quei nodi a poco a poco si
snodano e diventano linea dell’esistenza redenta. Lui apparteneva ad una
traccia con contenuti rimossi, svaniti, assenti, e quindi ormai del tutto
impraticabile.
In quelle continue introspezioni le venne in ricordo un
proverbio cinese che dice: “se ai piedi del faro non c’è luce, se cioè la
coscienza non è in grado di illuminare l’oscurità, questo non significa che non
ci sia luce affatto: si tratta invece di capire come e dove si proietta quella
luce e in questo la speranza può fornire una forza conoscitiva supplementare”. A
Gianna una nuova luce si era profilata, nel lungo periodo di completa assenza
di Roberto, allorché aveva incontrato un ex compagno di scuola, Francesco, che,
sia per il servizio militare, sia per gli studi universitari era stato perduto
di vista e quasi del tutto dimenticato.
Del resto, nei tempi della scuola era come un brutto
anatroccolo, poco interessante e sempre tenuto in disparte. Ma fu grande la
sorpresa quando se lo ritrovò di fronte, un giorno che era uscita per prendere
un caffè al bar Principe. “Gianna come stai? Ti posso offrire il caffè e magari
un dolcetto?” Si girò e non credette ai suoi occhi. L’anatroccolo si era
trasformato in un uomo affascinante; alto, atletico e snello, occhi verdi-castani
e profondi; portava un maglione alla marinara, a collo alto, pantaloni di
velluto e scarpe di camoscio e la voce, la sua voce era colma di tonalità affettive,
sensuali. “Francesco, rispose, riavutasi dalla sorpresa, quasi non ti
riconosco, quanto tempo è passato! Ma sì prendiamo un caffè.” E da quel giorno
l’appuntamento al caffè si fece sempre più frequente. A volte il divenire,
ancora a noi estraneo, piomba su noi come una massa possente e problematica. Era
il caso di Gianna che, di giorno in giorno, sentiva crescere l’interesse di
Francesco verso di lei suscitandole un nuovo coinvolgimento emotivo. “Cosa
posso fare? -si diceva- Nulla, forse il resto verrà da sé come la stagione di
questo tardo autunno, che quest'anno si preannuncia bella e con un sole tiepido
e allo stesso momento ancora caldo”.
Spesso, dopo il caffè, passeggiavano sulla spiaggia e
più intensi si facevano le loro parole. Lui la guardava e diceva: “Io amo il
mare, quel mare che vedo nei tuoi occhi così mutevoli nell’onda dei sentimenti".
Lei ascoltava sorpresa, mormorando: “Sì è vero. Cambiano colore i miei occhi
mutando condizioni, benessere o malessere”. “Lo vedo - rispondeva lui - ora mi
sembrano acque che scintillano al sole”. Gianna, commossa si fece più vicina e
lui la baciò. Non si sottrasse e il bacio si fece più intenso e caldo.
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