domenica 3 febbraio 2019

La nonna che leggeva

La casa calda, il caminetto acceso. La serenità, il massimo insperato, dopo mesi nel gelo

Racconto
di Giovanna Vannini

Gli cadevano gli occhiali dal naso ad Adele, era un continuo riposizionarli, ma questi inevitabilmente scendevano, fino a cadere in terra, se lei si piegava di scatto senza reggerli. "Tutta colpa di questa montatura vecchiotta, vecchiotta quanto me" -Adele sorridendo, si diceva- Le stanghette si erano allargate e anche la forma dell'occhiale non era più dritta, guardandosi allo specchio si notava bene.
Unico punto a loro favore: le lenti, infrangibili, sempre della gradazione giusta per i suoi occhi. “Ne vale la pena Adele, io non ne farei un paio nuovi, basta rimetterli in forma, ripulirli, le lenti sono buone, risistemarli non ti costerà mai quanto farli nuovi.” E con questo consiglio/affermazione dell’amico fraterno e ottico di fiducia, Ernesto, Adele aveva definitivamente riposto l’idea di mandarli in pensione. 
“Domani passo e aspetto che tu li sistemi, Ernesto." Ma quel domani, non era mai avvenuto.
Per Adele tre stanze, un piccolo appartamento in uno dei paesi vicino al suo, ma miracolato dal sisma, messo con generosità a disposizione da Emma e Franco, due coniugi toscani, che durante una vacanza molti anni prima, s'innamorarono all'unisono di quel paese di alto piano, con le vette a un passo da andarci in un’ora, con le passeggiate da farsi sui crinali, o nella valle, per tempo e chilometri che fiato e gambe, a seconda della giornata, permettevano. 
Dopo le prime settimane di caos fisico e mentale, di panico che non mollava, di rassegnazione che non voleva subentrare alla rabbia, Adele aveva trovato una sola ragione per darsene ancora una: leggere pagine ai suoi compagni di sventura.
Quando Alessandro, uno dei primi vigili del fuoco presenti in quell’alba di macerie, l’aveva accompagnata dentro casa perché prendesse, nei pochi minuti concessi, qualche effetto personale, qualche ricordo, qualcosa che solo per lei contasse, Adele già sapeva: libri. E non le fu difficile trovarli. Appena Alessandro, con l’aiuto di un collega, ebbe forzato un poco la porta per entrare, il pavimento dell’ingresso ne era cosparso. La grande libreria, posta proprio nella parete davanti alla porta, era venuta giù, tutta intera, con il suo contenuto. In mezzo a quella disperazione di dimora violata.
Adele non ebbe dubbi, non ebbe ripensamenti, né rimpianti. Delle due valigie ricevute al campo, una la riempì di libri. Raccolse i migliori, o almeno quelli che alla prima occhiata così le sembrarono, alcuni li riconobbe dalla copertina, altri ci soffiò sopra per togliere il grosso della polvere, altri ancora li raccolse perché questi, a lei, si consegnavano. Il vigile del fuoco, davanti a quella donna tanto anziana quanto determinata, che senza proferire parola, senza un attimo di smarrimento, riempiva la valigia di parole, non provò a dirle che forse avrebbe dovuto, che forse sarebbe stato meglio se…Con lei si chinò, con lei raccolse. 
“Adele, la nonna lettora dei terremotati”, titolarono le pagine dei giornali, con enfasi e ridondanza, scrissero gli articoli. Lei, per quel suo fare con naturalezza fatto, non avrebbe voluto. 
Chi l’ha ascoltata, con lei ha riso, ha pianto, è rimasto con lei dentro quegli attimi silenziosi che accompagnano la fine di una storia narrata, dentro quel lasso di tempo che la realtà allontana, che l’immaginario, a volte vitale, avvicina. Chi ha vissuto Adele per quel tempo che lei gli ha dedicato, tace, socchiude gli occhi, risente la sua voce: nelle orecchie, nel cuore, nell’anima. 

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