Una data che ricorda non
solo l’esito vittorioso - e pur tragico e sanguinoso - ma l’idea stessa di “patria”, casa comune di un popolo, appartenenza ad una comunità che condivide i valori
della democrazia liberale
(ap*) Non solo Caporetto, ma anche il Piave e Vittorio
Veneto. Sono gli eventi che per noi italiani hanno contrassegnato
sanguinosamente il primo ventennio del ‘900, mentre tutto l’assetto politico e
geografico subiva un tremendo scossone. Per sconfiggere le armate
austroungariche che occupavano il nord est del paese, caddero allora migliaia
di soldati italiani.
Fu
la “grande guerra” come sempre è stata chiamata. Ammesso che grande – nel
senso elogiativo del termine - possa essere definita una qualsiasi guerra, e grande
– quanto a dimensioni – la si possa ritenere a confronto della tragedia immane
provocata successivamente dal nazifascismo. Ma forse nessuno allora lo riteneva
possibile.
Si concludeva in un periodo dell’anno come questo, giorni
che segnavano l’inizio dell’inverno, con le piogge, il freddo, le prime
nevicate sulle vette, il 4
novembre del 1918. Ma non erano propriamente tempi simili. Allora, per
tutti quei giovani andati a combattere, il sapore delle castagne ricordava la
casa lontana, era solo il profumo degli affetti familiari distanti e delle
proprie cose, un profumo amaro, nulla a che vedere con le trincee e le vette,
dove la maggioranza dei combattenti non era mai stata prima. E Halloween non
esisteva affatto, cos’era mai all’inizio del secolo scorso?
Con la sconfitta
degli austriaci potevamo dire di aver vendicato Caporetto, il ritiro
disonorevole delle truppe di fronte al nemico, eppure nella storiografia più
comune e forse più banale, e persino nella percezione di molti, la disfatta è ricordata
con più forza degli eventi successivi, la resistenza su quel fiume, l’avanzata
successiva, che pure ebbero effetti non meno dirompenti sugli austriaci, il cui
esercito collassò di colpo e dovette ritirarsi frettolosamente oltre le
montagne, come ricordava il bollettino della vittoria.
Un segnale forse della vergogna provata come popolo,
mai elaborata e superata. Una ferita non emarginata, e rimasta a sanguinare.
Una conferma dei pregiudizi contro sé stessi, un popolo incapace di unire le
forze, di sapersi coalizzare per un obiettivo. Oppure qualcosa di molto
diverso, un’altra riflessione, cioè lo stupore di fronte all’ipotesi inversa. L’incredulità
di saper ritrovare le ragione del vivere comune, scoprire la comune
appartenenza ad un popolo.
Per lungo tempo, finché sono stati vivi, la memoria
di quei fatti è rimasta affidata ai nostri nonni, a quanti combatterono quella
guerra e riuscirono a tornare alle loro case. Cerimonie pubbliche, discorsi
degli ex o dei familiari, labari tirati fuori dalle teche, preghiere nelle
chiese. Da parte di un numero sempre inferiore di persone, mano a mano che per
ragioni di età diminuiva il numero dei superstiti.
Una trascuratezza durata anni e legata ai molti
equivoci che hanno accompagnato l’idea di patria e i suoi simboli, a partire
dal tricolore. Non tutti privi di fondamento, se si pensa allo stravolgimento operato
dal fascismo, alla strumentalizzazione di nozioni importanti, inseparabili
rispetto all’idea di democrazia liberale.
Ma per un tempo troppo lungo è
sembrato che l’idea di patria non stesse a cuore all’opinione pubblica antifascista
e dunque democratica, e che il vessillo fosse non il simbolo di una comunità nella
sua lunga storia, ma solo l’espressione di quanti in realtà l’avevano
combattuta.
Oggi almeno queste parole sono tornate ad avere un
senso più autentico, in armonia con la stessa etimologia della parola patria,
che altro non significa se non la terra dei propri padri. Il ricordo e la cura
delle proprie radici.
E tuttavia sembra ancora mancare un tratto lungo del
percorso, per comprendere tutte le implicazioni dell’essere parte di una
comunità più grande. Quello stare insieme per un progetto comune, l’idea di una
società solidale che, pur nella diversità delle proposte, si riconosce negli
stessi valori di eguaglianza e libertà. E che sa muoversi efficacemente nella
politica di ogni giorno. Senza falsità, strumentalizzazioni, interessi
personali. Speriamo che, anche per questo, non serva troppo tempo.
* Segui la La Voce di New York:
4 nov 2019. L’idea
di patria: perché è importante che l’Italia celebri il 4 novembre
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4 nov 2019. L’idea
di patria: perché è importante che l’Italia celebri il 4 novembre
Il significato di una
data che agli italiani non deve ricordare soltanto l’esito vittorioso della
Prima guerra mondiale ma l’idea attuale e moderna della “patria”
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