Lettrice in treno di Edward Hopper |
La finzione, non solo sul palcoscenico. Nei panni
dell’esordiente Erika, si presenta una famosa attrice di
teatro, è Rita “la rossa”. Per sfida o curiosità
di Giovanna Vannini
La stazione centrale di Berlino era appena passata.
Il convoglio aveva ripreso il suo viaggio attraverso il tramonto. Quando il
capotreno avesse annunciato la prossima fermata, sarebbe stato notte fonda. Tra
cinque ore Varsavia. Mi persi, mi immersi, feci finta: di leggere, di capire,
di memorizzare.
Sotto la tesa larga del cappello chiusi gli occhi,
cercando di nascondere il sopraffare del sonno e quella sensazione diffusa di
torpore che mi stava assalendo. Non volevo però lasciarmi andare del tutto, mi
dava fastidio il pensiero di essere svegliata dal controllore qualora fosse passato,
o dalla voce garbata del cameriere che m’invitava, se volevo, a prendere posto
nella carrozza ristorante, per un drink o una cena leggera.
Dieci minuti, quindici al massimo di sonno, poi avrei
ripreso il controllo, letto davvero, capito anche, memorizzato pure. A Varsavia
mi aspettavano una camera d’albergo di terz'ordine, un mese di prove intense
non pagate, venti rappresentazioni al Polish Theatre, da confermarsi solo se le
prime tre avessero riscosso successo. Altrimenti stop, fine, si smonta, si
torna a casa, senza diritto di replica.
A quanto avrebbe ammontato il mio compenso per quel
ruolo da protagonista, non lo sapevo. Tra me e l’impresario della compagnia,
del quale conoscevo solo la voce, per averlo sentito al telefono una sola volta
e per pochi minuti, l’argomento denaro non era stato sfiorato. Non per i soldi
avevo accettato la parte e nemmeno per accrescere la mia notorietà. Ero già
ricca dell’uno e dell’altro. Per sfida, scommessa, curiosità, paura, smisurata
autostima. Solo per questo.
Io Rita, io la Rossa, l’esplosiva, l’amante
desiderata, la femmina che accende, magnetizza, sceglie, scarta, riprende, da
sei ore e venti minuti (il tempo che aveva impiegato Tomas Bird, miglior
truccatore scenico americano) ero Erika Moon, fantomatica attrice appena uscita
dall'accademia.
No, Thomas non mi aveva imbruttita, questo non glielo
avevo permesso, solo cambiata, accentuando il naso, gli zigomi, la bocca, il
mento. Di tutta quella sfida, questa era la cosa più dura da sopportare.
Viaggiavo in incognita, sotto trucco scenico. Viaggiavo per un altro viaggio
ancora sconosciuto.
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