Roberto Bolle e Svetlana Zakharova |
Racconti dedicati a figure moderne e antichissime. Evocano suggestioni e pongono interrogativi.
Oggi, La ballerina.
Già pubblicati: L’attrice, Lo scrittore, L’astrofisico.
di Laura
Maria Di Forti
(Introduzione
di Angelo Perrone)
(ap) L’origine è antichissima, precedente forse allo
sviluppo stesso del linguaggio. L’uomo ha sempre sentito il fascino del
movimento del corpo, al suono di uno strumento rudimentale o di un semplice canto,
oppure di musiche più sofisticate. Non solo salti, volteggi e capriole, però, per
dare sfogo all’ estro in una cerimonia religiosa, o durante feste celebrative di
eventi naturali e sociali.
Lo stile della danza classica, nata per impulso delle corti
rinascimentali, è radicalmente altro: un insieme di “codici” di comportamento,
schemi che disciplinano passi e posizioni, figure sceniche per regolare ogni
minimo gesto, dalla presa del corpo, al sollevamento sulle punte, allo slancio
verso il partner o sulla scena. Tutti i movimenti sono pensati nei dettagli, replicati
davanti ad uno specchio per valutarne la correttezza, ed eseguiti secondo un
rigido copione. La coreografia è maniacale, nulla sembra lasciato
all’improvvisazione.
La danza classica risponde ad una tecnica minuziosa, che
sembrerebbe asfissiante per la fantasia di autori e esecutori. Eppure, sul
palco, accese solo le luci di scena, tutto si trasforma ed è diverso. I corpi
si muovono con garbo soave, le vesti fluttuano liberamente, il virtuosismo non
è fine a sé stesso, si diffonde un senso voluttà raffinata, in un’atmosfera che
sa di irrealtà.
Il parquet di legno non ammortizza il peso dei ballerini
facilitandone i movimenti, ma li proietta in una dimensione di assoluta
leggerezza. Lo spettatore non rimane all’esterno osservando con distacco la
performance dei ballerini, piuttosto è parte egli stesso di quel mondo di
piroette e volteggi, buffe scarpette di raso e strani tutù di tulle.
E’ un giardino fatato in cui sfumano i contorni dei corpi e
la materia sembra non aver più limiti: a danzare sono gli amori e i tradimenti,
gli incontri e le delusioni. Percepibili solo attraverso cenni e allusioni, vicinanze
ed affinità. Dove però la bellezza è così immediata e palpabile.
Credetemi, è immensa
l’esaltazione che avverto mentre volteggio sul palco con davanti la platea che
presto applaudirà a piene mani! Le mie braccia sembrano ergersi in alto nella
ricerca di chi sa quali speranze, quali ardori, quali fremiti, mentre le mie
gambe si muovono a piccoli passi e poi cominciano a correre in attesa del gran
momento in cui volerò alta come un uccello del paradiso.
Io danzo. Sono una
ballerina classica, non una qualsiasi, ma una étoile.
Io seguo un
immaginario schema fatto di salti e di volteggi, di giravolte e di piroette,
assecondo il ritmo della musica, interpreto ogni singola nota muovendomi
elegante e leggera come una piuma, mi innalzo come una farfalla in volo e poi
scendo lievemente a terra come un fiocco di neve candida, immacolata nel mio
tutù e senza peso.
Ci sono voluti anni
di sacrifici per arrivare a questo. Anni di rinunce, di preparazione maniacale,
di dedizione assoluta, direi addirittura di asservimento alla danza. Non ho
forse pianto per il dolore mentre slacciavo i nastri delle scarpine? Io ho
digiunato per rimanere con il corpo di una giovinetta e mi sono privata di ogni
gioia ritenendo che l’unica gioia possibile fosse la danza.
Anni di privazioni,
sì, affinché fosse possibile trasformare me stessa in un colibrì, una trottola
o un angelo. E allora nulla ha più importanza. Non il dolore, non i sacrifici,
non più la fatica. Conta sola la danza, la mia capacità di ballare sinuosa,
vibrante di emozione, aggraziata come il petalo di una rosa che si muove
portato dal vento.
Io danzo con passione
e con immenso amore ritengo questo teatro l’unica dimora possibile, il solo
rifugio dopo ogni successo.
Gli applausi. Forti,
li sento arrivare fragorosi, simili a tuoni, sono scroscianti come la pioggia
che batte sui vetri e invece entrano nel mio cuore, nella mente, nell’anima
mia. Cielo, quel che provo nel sentire il clamore di quelle mani spinte a
battere l’una contro l’altra come segno di ammirazione per la mia danza, dirlo a
parole non riesco! Ed io sono lì, sul palco, stremata, senza forze più e senza
fiato, ma mi sento viva, mi sento una dea. Ho dato prova della mia bravura, ho
danzato come solo può una piuma cullata dalla brezza, sono volata alta come se
non dovessi più ricadere a terra e poi ho lasciato che le mie braccia
disegnassero sogni e le mie mani esprimessero tutta la passione della musica.
Io sono musica, io
sono movimento, io sono magia.
Danzo per voi,
signori, danzo per rammentarvi che il corpo può essere addomesticato, può
diventare leggero ed elegante, flessuoso come un giunco, danzo per darvi la
sensazione che sono fatta per il paradiso, per stare sull’Olimpo insieme agli
dei.
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