Negli anni dell’occupazione
nazista, la bottega paesana di nonna
Annetta. Il piccolo mondo di campagna di fronte alla prepotenza, alle
ritorsioni, al pericolo di perdere le proprie cose
di Bianca
Mannu
Dietro i banchi da vendita non rimaneva
nessuno ad accogliere gli stranieri. Nonna spiava il loro ingresso dalla
fessura della porta di comunicazione con la lolla, che zia Dora aveva lasciato
socchiusa prima di correre via, secondo i comandi di regia impartiti dalla
madre. Ed ecco che lei, come se semplicemente ritornasse per riprendere una
faccenda temporaneamente interrotta da un’altra urgenza, avanzava dall’interno
verso il banco, senza tradire alcuna emozione e quasi ignorando la nuova
presenza.
Come attratta da uno stropiccio
inusuale si voltava nel modo più naturale e controllato: “Che cosa desiderano?”…
E intanto si forbiva con calma le mani in un panno. Serviva assolutamente
austera e indecifrabile. I due o tre prendevano posto sulla panca: bevevano e
fumavano grugnendo sotto voce discorsi brevi e incomprensibili. Dopo aver
ricevuto il denaro, nonna offriva il bicchiere omaggio o anche la bottiglia col
liquido rimasto. “Qvanto?”, “Questo? Niente, regalo per clienti buoni”. “Ah,
ià. Noi anche tonare qvi!”.
Tornavano, infatti, come cani da punta,
diversi ogni volta, ma col grugno sempre più cattivo. Era accaduto che una
visita coincidesse col giorno della panificazione familiare. Il profumo del
pane era insopprimibile. Nonna Annetta, dopo essersi prodotta nel solito
cerimoniale che non aveva scomposto la mutria del sottufficiale, porse a un
milite un consistente involucro di carta oleata tolta dalla “butteghedda”,
rimasta, a ogni buon conto, chiusa. Lo fece con gesto nello stesso tempo timido
e orgoglioso, quasi stesse offrendo a tutti loro un alimento raro e sacro.
Quelli con l’elmetto e le giberne -
visibilmente subalterni - annusarono facendo luccicare gli occhi e scoprendo
davanti allo sguardo falsamente impassibile del superiore la crosta dorata del
pane bianco-dorato sotto l’ala cartacea. Ma non succedeva niente e il graduato
di turno sirigirava in bocca le minacciose inquisizioni con cui aveva
sottolineato il suo ingresso e che nonna aveva fatto le facce di non capire … “
Dofe nascontere patogliani foi! Foi cente di trugerisch, foi versteken mehl,
versteken brod! Ma foi dofe cacciato anche frauleins? Paese senza frauleins?”.
E a quel punto nonna, come una che
voglia, ma non riesca a indovinare il significato oggettuale d’un idioma
assurdo, mette mano alle bottiglie di liquore e le allinea sul banco e, facendo
le viste d’intuire a naso - chi sa? - il desiderio di bere dei convenuti, cerca
un liquore sconosciuto, introvabile. Riempie un bicchiere dopo l’altro dei più
squillanti e odorosi rosoli e li schiera.
“Bevete, animali, finché non vi
tracimano dagli occhi!” - pensa e ascolta la sua interna
risata beffarda. Ecco che la visiera sembra allargarsi e scoprire gli occhietti
avidi: “Noi niente pagare! Foi italiani pagare fur uns!”.
“No pagare, no pagare; regalo, solo
regalo!” ripeteva nonna. “Anche pane, regalo, solo regalo per
buoni clienti, sì”.
E a quel punto la visiera sparisce
sotto il braccio di ceppo e l’uomo ride con tutti denti da pescecane e tracanna
con i suoi militi …
“Non mi stupirei se ci avessero
infilato una o più parolacce a mio sfregio!”. E nel
raccontare, adesso ride anche lei sonoramente, ma di quella sobria vibrazione
che solo nonna Annetta sapeva produrre. “Si bevvero tutti i bicchierini che
avevo riempito, mentre tremavo per la paura che volessero
entrare… Paura per le ragazze! Se ne stavano
andando quei ceffi; e potevano fare qualunque cosa, a man salva!”.
Infatti, mentre nonna serviva e
tratteneva gl’indesiderati ospiti, le ziette, poco più che bambine, stavano
chiuse nella loro stanza in silenzio. Intanto zia Dora e Mercedes, la donna di
servizio del tempo, ansimando per la fretta e la paura, facevano sparire, con
la branda di zio Terenzio, anche i giacigli dei suoi servi e persino i loro
gabbani ch’erano stati dimenticati appesi dietro l’uscio della cucina.
Solo nonno Augusto, parato dentro i
suoi calzoni a righe con le bretelle, il gilè blu sulla camicia bianca senza
colletto e il cappello calcato sulla testa, sedeva sul suo scranno dentro la
lolla, come un idolo vivente. “Con i tedeschi non si può mai sapere …”.
Finalmente, come scaldato e con gli
occhi illanguiditi a forza di blandire gli scaffali, il drappello si muoveva.
Sull’atteggiamento di nonna Annetta non
bisogna equivocare. Lei non era antitedesca più di quanto fosse stata fascista.
Nonna Annetta e in generale quasi tutti i Senis avevano il cuore ideologico
comunicante con il cassetto della “buttega”. E in quel caso i tedeschi
erano vissuti come pericolosi quanto o più dello stesso Stalin che, a sentire
nonna e altri, voleva arrivare fino a Gesòli per spaccare in due anche le
mucche, per dare la parte a perdigiorno che invece di mettere a frutto la
giornata e risparmiare per il gruzzolo, sbevazzano come bestie “senz’e
sentidu”.
I tedeschi padroni e incazzati con
“italiani tutti traditori” erano equivalenti agli italianissimi finanzieri. E
tutti loro, con armi e poteri, senza guardare né di qua né di là, potevano
mettere il naso negli affari tuoi, battere il pugno sul tavolo e farti cacciar
fuori fino all’ultimo soldo sudato, senza neanche ascoltarti … Beh, non c’era
altro modo possibile che provare a infinocchiarli tutti, secondo nonna.
Questo pezzo tratto da Nonna Annetta è bellissimo!Non lo ricordavo più.Mi ha fatto molto piacere rileggerlo qui.
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