Vicoli antichi: luoghi
di incontro, di risonanze personali e di magiche atmosfere
di Paolo Brondi
Nicola aveva compiuto il viaggio di
ritorno portandosi dentro i colori della città appena lasciata e la dolce
memoria di lei. Roberta, fin dal primo mattino, lo
aveva guidato per vicoli ridondanti di vita, dispiegati in miriadi di forme, di
luci e sorprendenti rifacimenti di realtà, soprattutto di quella
dell’immaginario religioso, reso prorompente oggettistica, sublimata rispetto
all’intrinseca venalità, per genialità compositiva e maestria coloristica,
profusa sui vari banchetti della fiera, gravitanti sul centro di vie
ombreggiate da vetusti palazzi e azzurrate nel fondo per sprazzi di mare, caldi
alla vista.
E, andando,
gli parlottava accanto, con voce musicalmente fusa all’intensità dello sguardo
e alla luce del sorriso, mentre i passi si univano in eguale cadenza, lievi
poggiando sul duro selciato di arcaico pavè. Un incontro vissuto in bozzoli di
tempo, sottratti al duro fluire delle ore e perfino delle stagioni, trascurate
nelle loro specifiche manifestazioni perché accolte entro un vissuto di
impalpabile levità spirituale.
Come tanti
altri incontri, celebrati in cittadine antiche, apparentemente immobili,
monolitiche, in realtà profondamente vive per la forza dei secoli, sedimentata
in pietre e colori, ma ancora parlante la voce del tempo.
Una voce
che flessuosa si annida nei vicoli stretti e aperti in fondo alla luce, nelle
piazze ombreggiate da torri possenti, variate in altezza, simboli della
transizione della gloria, di permanenza della sostanza, oltre l’effimero e di
vigoria concentrata in se stessa e non dispersa in mille e mille desideri;
nell’aria incensata di chiese oranti, nell’ora del vespro, in pallido sapore di
quello che Nicola respirava nei suoi lontani, ma ancor memori giorni, passati
nella sua chiesa di ragazzo .
In questa
contestualità, tra il presente caldo di sensi e l’onda sottile di vicendevoli
rammemorazioni del tempo trascorso, trascorrente nella mente di lui per effetto
di quell’intenso nutrimento d’amore da lei partecipato, liberatorio dagli orpelli
delle apparenze e raffinato nel dispiegarsi e sostanziarsi di ogni attributo,
Nicola e Roberta riuscivano sempre a calarsi nella quotidianità di pizzerie, o
enoteche, ove il loro frugale consumo si ritraduceva in valori simbolici.
Apparentemente
era il trionfo delle esigenze corporali, in realtà l’esaltazione suadente e
gioiosa della loro soggettività, proiettata in minimale gestualità, euforizzata
da scivolosa vernaccia e orientata da un sentimento trepido e splendente.
Sceglievano sempre un angolo, prossimo ad una finestra, in ambientazione
rustico-preziosa, ove luci diffuse, tenue bagliore di candele, consentivano
ulteriore risalto alla bellezza di lei, alla sua dolcezza di donna, assetata di
essere vera, accolta, amata e a lui il dono di parole nuove, in un crescendo di
creatività e preziosità amorosa.
E
nell’ordinare pietanze e scegliere vini, celebravano gli eventi coinvolgendo
nella loro armonia oste e camerieri, facendoli indugiare presso il loro tavolo,
amabilmente richiesti di dar contezza dei piatti migliori o del vino più adatto.
Poi, dopo
la fame saziata, le loro mani si cercavano in rinnovata ansia, e così
intrecciati andavano per vie strette e pallidamente lucenti, in vago sentore di
anni ’30, fino al loro rifugio. E qui, i loro corpi, subitamente liberi dai costumi
del mondo, si univano, in tenera e crescente armonia sensuale non senza
mirabile apporto di una fantasia prorompente ed essenzialmente creativa che
dilatava i tempi dell’amore e strappava profondi sospiri di godimento
ancestrale e beati sorrisi di appagamento totale.
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