Il mistero della donna ritratta di nascosto
di Laura Maria Di Forti
Fu verso mezzogiorno che Flora, esasperata di non vederlo dall’ora di colazione, decise di capire dove fosse sparito Guido. Si alzò dal divanetto del giardino dove aveva pigramente fumato una sigaretta con il lungo bocchino e lo cercò in salone senza successo. Forse si era sentito male, pensò, o era stanco o non aveva voglia di compagnia, e allora salì a cercarlo in camera ma anche lì non lo trovò.
Le venne in mente che l’anno precedente Guido, in un momento di debolezza, quasi in preda al delirio per la passione che provava in quel periodo per lei, le aveva confidato l’esistenza di una stanza segreta su nel solaio, una stanzetta che lui, molto giovane ancora, aveva arredato e trasformato in atelier dove potersi rifugiare per dipingere. La cosa, all’epoca, le era sembrata una confidenza di poca importanza ma ora, alla luce di quelle continue assenze, poteva rivelarsi molto utile.
Salì le scale che davano al solaio, scale che nessuno si sognava di usare mai, e aprì l’ultima porta a destra. Dentro, intento a dipingere, c’era Guido.
“È qui che ti rintani, allora! – esclamò Flora sulla soglia della stanza – La vecchia, antica stanza segreta della tua giovinezza!”
Guido si voltò di scatto. Flora entrò nella stanza e guardò il quadro.
Una donna, dipinta di spalle ma il viso voltato di profilo, era circondata da un tripudio di rose e giacinti, di lantane, di edere rampicanti e di portulache di ogni colore e, sullo sfondo, da un rivolo d’acqua con dei salici sulla riva. A fianco alla donna, che era vestita con un abito leggero di seta verde e un cappellino calcato in testa, era dipinta un’altalena.
Flora rimase senza fiato. L’altalena era un regalo che lui le aveva promesso da tempo ma la donna dipinta non era lei, la musa di ogni quadro, di ogni scarabocchio, schizzo, di ogni disegno. No, non era lei, la sola e unica musa capace di donargli estro e fantasia, di ispirare la sua arte, accendere la passione da trasferire sulle tele e sporcarle di rosso e di blu, di verde e di giallo, di ogni colore possibile. Lei, Flora, non era raffigurata su quella tela dipinta di nascosto senza occhi indiscreti a guardare, ammirare, magari anche criticare. La donna col cappello aveva i capelli biondi e il profilo di Adele.
Flora lanciò un urlo, un piccione volò via dal tetto sbattendo energicamente le ali, Guido chiuse gli occhi cosciente di essere stato scoperto. Nessun segreto più, ormai, a difenderlo dalla verità, nessuna possibilità di amare riamato o anche solo di amare e basta, il pensiero solitario di un uomo consapevole di non avere probabilità di successo.
Flora gli si parò davanti inferocita, buttò per terra i pennelli e avrebbe scaraventato in aria il cavalletto, fatto a pezzi la tela imbrattandola e calpestandola pur di eliminare quell’amore che lei aveva presentito, fiutato, aveva immaginato, sospettato, forse solo indovinato. Guido però le afferrò le braccia impedendole di distruggere quello che per lui era l’unico modo di amare una donna che non avrebbe mai potuto avere perché Adele, questo lo sapeva bene, non lo avrebbe mai guardato come le aveva visto fare nei confronti di Marco.
I suoi occhi azzurri non si erano accesi per lui, ma erano diventati luminosi come diamanti, brillanti come il più costoso cristallo di Boemia guardando Marco, e gli avevano riso come quando si scopre, per la prima volta, l’amore.
La rivelazione del dipinto lo aveva reso nudo, scoprendo il segreto del suo cuore, quel desiderio inconfessato che mai, mai avrebbe voluto palesare. Ma Flora aveva varcato la soglia di quello studiolo che rappresentava l’alcova segreta della sua anima, la fanciullezza del suo cuore tornato indietro nel tempo, giovane anima innocente ancora alla scoperta dell’amore, e lo aveva guardato scandalizzata, rabbiosa di gelosia e risentimento, e niente più aveva senso, ormai.
Il suo cuore, lo sapeva bene, avrebbe smesso di fremere anche solo al ricordo di quei capelli biondi e di un vestitino verde di seta che si muoveva al respiro del vento. Ora, sarebbe rimasto solo il ricordo della rabbia furente di Flora e della sua delusione.
Guido guardò Flora negli occhi neri divenuti due tizzoni ardenti leggendovi solo disprezzo. Ma il disprezzo avrebbe dovuto essere il suo, piuttosto, quello provato per essere stato derubato, essere rimasto senza maschere dietro cui nascondersi, senza artifizi e senza difese. Nudo, esposto e pertanto vulnerabile. Il suo segreto era stato scoperto, la sua intimità violata.
Flora, atterrita nel vederlo così immobile, ferito e consapevolmente immolato al proprio dolore, non ebbe più il coraggio di infierire e, muta anch’ella, uscì dalla stanza, conscia di non essere più la donna amata, e nemmeno la sola musa. La donna del ritratto l’aveva soppiantata in amore e come modella.
Poco dopo, Maria annunciò che il pranzo era pronto. Gli ospiti si sedettero tutti a tavola aspettando impazienti l’arrivo del padrone di casa e di Flora, ma nessuno di loro due scese in salone.
Guido rimase nel suo studiolo a guardare il dipinto, il primo senza Flora. Lo aveva dovuto dipingere, lo aveva fatto per purificare la sua anima e il suo cuore e, forse, gli pareva di stare meglio. Ora, quella ragazza vestita di verde e con il cappello calcato in testa sembrava esistere solo nel quadro. Non era reale, no, apparteneva al suo sogno, al suo immaginario, pensieri intrisi di magia e di sospiri e nient’altro. La realtà era diversa.
Guardò dalla finestra e vide alcuni bambini giocare nei campi al di là delle siepe. Si rincorrevano e gridavano, ridevano e si divertivano ignari delle sue pene d’amore. Pensò che la felicità fosse al di là della siepe, fuori dalla sua casa, lontano da quel giardino odoroso di fiori.
No! Guardati dentro, si disse, guardati nel cuore con sincerità.
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