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Romagna, tin bota

La solidarietà dopo l’alluvione

di Marina Zinzani

Anche Ursula von Der Leyen l’ha detto, dopo aver sorvolato i luoghi dell’alluvione in Romagna. Tin bota, cioè tieni duro, resisti. Due parole che qualcuno ha scritto giorni fa sulla spiaggia, nelle ore più buie.
Parole ripetute come un incoraggiamento, un fiore donato, seppur con le labbra strette, il cuore sofferente, quasi con le lacrime agli occhi, in un sottofondo irreale. 
Come se fosse un film. O un incubo da cui ci si sveglia e si tira un sospiro di sollievo. E invece no, è vero, è tutto vero. L’acqua ha preso il sopravvento, ha cambiato tante vite, e ne ha anche distrutte, di vite.
Due parole che parlano di empatia, non si dice altro, il linguaggio è essenziale come lo è spesso nei dialetti, ma l’altro c’è ed ha compreso, ti è vicino con il cuore, ti dice che devi stringere i denti, che verranno tempi migliori, che si dimenticherà.  
Che si tornerà dentro le proprie case e che torneranno belle quelle case, nonostante il fango di oggi e l’acqua che è arrivata così in alto, nonostante i mobili da buttare, i sacrifici di una vita svaniti in un attimo. Ti dice che un paese tornerà ad avere strade normali, e non più invase dall’acqua di oggi. Che un fiume è un fiume, non un essere metafisico che può così spaventare e cambiare la tua vita.
Si dimenticherà. O forse no. Oggi si deve trovare la forza di riprendersi, di pulire, ricominciare. Quel “Romagna mia” cantata dai ragazzi nel fango è stato un momento di poesia in mezzo a tanto dolore. 
“Tin bota” diventa frase magica, in grado di dare sostegno e di ricordare che verranno tempi migliori, dopo la tempesta. Si ha la forza dentro, e la comprensione dell’altro.

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