Castello Sforzesco, MI (foto ap) |
di
Paolo Brondi
La
felicità è un nome nel dizionario. Nella vita pratica è un’azione legata al passato
con i ricordi, al futuro con la speranza e nell’hic et nunc della nostra quotidianità, spesso, è frutto di una
ricerca disperata. Chi dispera potrebbe trovar giovamento seguendone le tracce disseminate
nei vari luoghi della cultura. “Essere qui è stupendo” - dice Rilke - il poeta,
scrittore unanimamente considerato guida spirituale per superare le aporie
dell’esistenza.
Essere qui è stupendo ha il significato della impossibilità di sottrarci all’effimero ed alla banalità delle ore e dei tempi, ma anche della necessità di non essere soccombenti, di non subire tutta la forza negativa del male, di educarci e rieducarci a cercare sempre un senso, una traccia di felicità.
Essere qui è stupendo ha il significato della impossibilità di sottrarci all’effimero ed alla banalità delle ore e dei tempi, ma anche della necessità di non essere soccombenti, di non subire tutta la forza negativa del male, di educarci e rieducarci a cercare sempre un senso, una traccia di felicità.
Platone
insegna che la felicità non è cosa, non è un oggetto che si può manipolare a
piacere, ma è un processo. Significativa la metafora dell’anima alata che,
finché spazia liberamente, al di sopra dei rumori del mondo, è sicuramente felice.
Il problema sorge quando si mescola alla materialità delle cose e dei costumi.
Allora può subire tutte le negatività delle opinioni, della chiacchera, della
illogicità dei comportamenti, fino a perdere le ali. Non tutti sono destinati a
perdere le ali: c’è libertà e modo di riprenderle. Ne costituisce prova la vita
di Socrate che non si aggrappa ai privilegi terreni, preferendo morire pur di
non abdicare ai suoi insegnamenti.
Si
tratta di liberarci dalle pesantezze del corpo: i blocchi, le paure, la tensione,
lo stress, l’inquietudine, ma anche quella sorta di apatia che magari ci dà
l’illusione di star bene, ma nasconde il senso profondo dell’esistere. Meglio
alleggerire l’anima ovvero sentire quella energia, quel fremito che permetta di
trascendere ogni limite e apra alla possibilità di raggiungere saggezza,
moderazione, giustizia. Certo non facile è perseguire tali finalità in uno
stato che ci tratti come armento, massificando desideri e libertà e ove tutto
si mescola: la felicità si mescola alla sofferenza, cresce la banale
ripetitività e prevalente è la precarietà. Allora l’individuo deve farsi
guidare da una morale provvisoria, ma efficace, come quella che gli fa evitare
la logica dell’armento, la massificazione dei desideri e della loro
compensazione, per calcolare ciò che non è necessario né utile per vivere con
moderazione e serenità.
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