di Marina Zinzani
Tratto da “I racconti dell’acqua”
(Commento di Angelo Perrone)
(ap) L’acqua è il tema ricorrente di
questi Racconti. Qui, è nutrimento delle piante, soprattutto di quelle più esili e fragili, esposte alle avversità di ogni tipo. E diventa metafora di una risorsa di altra natura: il sentimento affettuoso che alimenta i rapporti umani, li sorregge, li fa crescere dando loro persino una nuova vita. Il tema dà corpo ad un contesto, di pensieri e di sentimenti, rarefatto e suggestivo, per molti versi anche tranquillo e rassicurante.
Elemento prezioso, simbolo di energia, di vitalità, del divenire stesso, l’acqua attraversa la parola scritta come protagonista discreta e misteriosa di storie tra loro diverse e apparentemente dedicate ad altro. Ma che finiscono per dare rilievo proprio a lei, l’acqua, scoprendone le molteplici dimensioni di senso.
Elemento prezioso, simbolo di energia, di vitalità, del divenire stesso, l’acqua attraversa la parola scritta come protagonista discreta e misteriosa di storie tra loro diverse e apparentemente dedicate ad altro. Ma che finiscono per dare rilievo proprio a lei, l’acqua, scoprendone le molteplici dimensioni di senso.
Il
basilico cresceva, il basilico aveva bisogno di acqua. Andava annaffiato
regolarmente, quasi ogni giorno, così le sue foglie crescevano rigogliose,
verdi e grandi, verdi e grandi, e il profumo, avvicinando il naso, era delicato
e intenso.
Sarebbero
state foglie da mettere in sughi semplici di pomodoro, in capresi con
mozzarelle di bufala, e il pesto, il pesto sarebbe stato una delizia al palato,
perché le foglie erano così profumate, sane, rigogliose e tutto questo perché
la pianta aveva avuto acqua necessaria, dosata con cura, al riparo dalle
intemperie.
Anche
i rapporti umani avevano bisogno di acqua, di nutrimento, ma questo era un
altro discorso. Una madre che aspetta il sabato un figlio sempre troppo
impegnato, una nonna che aspetta il nipote che ha tante cose più interessanti che
andarla a trovare… Sì, il sabato era giorno di visita, ma si parlava poco, qualche
parola, qualche convenevole, qualche discorso sul più o il meno. Il figlio di
Elvira andava sempre di fretta, i suoi cinquant’anni lo avevano reso
appesantito, il lavoro diceva, “il lavoro mamma mi porta via un sacco di tempo
e ci sono tante cose a cui pensare…”
Il
tempo. Pensare ad altri tempi. Anche lei aveva lavorato, e in fabbrica. Non era
facile il lavoro anche allora, e lei doveva anche tirare su due figli, e
dividersi fra la suocera anziana e la casa, tutta una vita di corsa. Ora che
aveva settant’anni, Elvira si era ritrovata sola, e attendeva. Attendeva
visite.
Si
era dedicata così alla cura del suo balcone con una passione quasi maniacale,
curare le foglie, curare i fiori, far crescere le piante aromatiche e
soprattutto il basilico.
Il
figlio doveva arrivare, era probabile, così lui aveva detto per telefono.
Certo, pensò Elvira, potrebbe fermarsi qui a mangiare, posso fare due spaghetti
con pomodoro e basilico, uno spicchio d’aglio e quei pomodori così rossi e
pieni di succo, una cosa semplice, possiamo mangiare assieme, una volta tanto.
Quasi
le venne da apparecchiare la tavola, anzi, la apparecchiò per tre, perché se
ben ricordava anche il nipote doveva fare un salto col padre, dovevano venire
dalle sue parti per qualcosa…
Tutto
veloce, il sugo richiedeva poco tempo, e lo spicchio d’aglio pelato, il cui
sapore era rimasto un poco fra le sue dita, cominciò a soffriggere dolcemente
con un filo d’olio, e poi i pomodori succosi, ah, un profumo già per tutta la
cucina, e forse fuori, forse fuori…
Ecco
suonare il campanello, sono loro, pensò. Si pulì le mani nel grembiale, e
rispose al citofono. Voce di donna. No, non erano loro. Era Antonia, la sua
amica con cui andava ogni tanto al centro anziani. La fece salire.
Il
profumo, Antonia respirò profondamente come se quell’odore di aglio e pomodoro risvegliasse
in lei un improvviso appetito. D’altronde era quasi mezzogiorno.
“Per
chi cucini? Hai la tavola apparecchiata.”
“Dovrebbero
passare mio figlio e mio nipote, se ho ben capito. Forse vorranno mangiare
qualcosa.”
La
risposta di Elvira fu lacunosa, non disse più niente di loro, guardava
l’orologio mentre parlava con Antonia, donna simpatica e piena di iniziative,
coetanea sua ma più piena di vita, che vedeva nella terza età una serie di
possibilità molto interessanti, fra cui viaggiare, ballare, mangiare con vecchi
amici. Antonia era vedova anche lei, ma aveva organizzato una serie di amicizie
che la proteggevano, se così si poteva dire. Persone che non erano parenti, ma
che le volevano bene.
Elvira
ascoltava la proposta di Antonia per un viaggio organizzato promosso da
un’associazione per anziani, e intanto guardava l’orologio. Era già mezzogiorno
e un quarto. Poi si fece mezzogiorno e mezzo. Poi suonò il telefono. Era il
figlio.
Il
volto di Elvira si rabbuiò leggermente.
“Pensavo
venissi, avevo preparato qualcosa da mangiare, doveva passare anche Fausto mi
avevi detto.”
Il
figlio disse qualcosa, e lei fece un cenno con la testa.
Lo
sguardo di Antonia su di lei, quasi a indagare un’espressione delusa.
“Non
vengono allora?”
“No,
hanno fatto tardi… Poi devono andare in un altro posto…”
Antonia
guardava il sugo già pronto, e le foglie di basilico che erano in tavola.
“Che
profumo il tuo basilico, Elvira, non ho mai visto un basilico così” disse la
donna, prendendo una foglia e avvicinandola al naso.
Il
basilico l’aveva curato, dato acqua, curato come si cura un figlio.
L’acqua
di cui ha bisogno un figlio è fatta di tempo, di comprensione, di parole. Di
tante cose, perlopiù misteriose. Aveva usato tutta quell’acqua per il figlio? O
il suo essere un uomo distante, quasi freddo, significava che non era stato
nutrito bene, che gli era mancato qualcosa di prezioso?
“Non
è che mi inviti a pranzo? A questo punto il sugo ce l’hai, è già apparecchiato…”
chiese quasi sfrontata Antonia.
“Volentieri, ti vanno bene gli spaghetti?”
Piano
piano si sciolse la delusione, Elvira salì sulla giostra di discorsi, anche
leggeri e divertenti, dell’amica, e dimenticò quell’appuntamento mancato, e
scivolò via tutto, ciò che non era stato, ciò che avrebbe potuto essere.
I racconti della Zinzani son favole per adulti, ti accompagnano delicatamente dentro dimensioni tristemente verosimili e purtroppo familiari, senza obbligarti a riflettere...poi però, se si accorgono di averti rattristato, ti prendono a braccetto e ti portano fuori a fare due passi in allegria. Piacevoli, sempre, con quel sottofondo di sana , quotidiana speranza. Veramente brava.
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