mercoledì 1 novembre 2017

Donne maledette


Racconti di Vespina Fortuna

(ap) Storie di un sacrificio, di un orrore, forse anche di una maledizione; che le accompagna per sempre, senza offrire loro una via di scampo. Così, travolte dalla perdizione di un destino infelice, assomigliano a chi, in preda a disperazione sconsolata, cerca rifugio persino in fondo all’oceano immenso e sconosciuto.

Donne, che sono però anche esempi di coraggio e di forza, di rivolta contro la violenza più feroce e l’ingiustizia, nella famiglia o nella società; che possono trasformarsi allora in sirene, per vivere finalmente quella condizione di libertà mai trovata sulla terra. Comunque, solo a prezzo di convivere con il freddo gelido ed inerte dei mari del nord.
L’intreccio misterioso e inestricabile di dolore e vita, di mestizia e desiderio di libertà è la trama che unisce diverse storie (immaginarie) di donne, sotto il titolo, che ne riassume la sorte comune, di “Donne maledette”.

A nord del mondo le chiamavano “donne maledette”. Erano quelle che erano state abusate e avevano deciso di non far crescere dentro di loro il frutto del dolore e dell’orrore preferendo la morte. Erano quelle che si erano sacrificate per non giacere con i loro padri, i loro fratelli e i loro padroni.
Erano le donne che si erano macchiate di sangue per difendere i propri figli e quelle che li avevano uccisi per sottrarli all’orrore del massacro. Una di loro si era gettata in mare da una torre che la teneva prigioniera e un’altra aveva ucciso il re despota per provare a cambiare il destino del proprio popolo. Erano tutte donne maledette.
Fu mandato Nettiore a raccogliere i loro corpi e lui li prese uno ad uno con caritatevole amore. Li lavò, li pettinò e li posò sulla sua barca dirigendosi verso il mare aperto. Era un animo buono, Nettiore, non poteva gettare quelle creature ai pesci e così decise di legarle per le mani e farle asciugare al sole.
Quando arrivò il buio, certo che nessuno lo avrebbe visto neanche da un’altra barca, le slegò e le trasformò in sirene restituendo loro la vita. Le creature si ridestarono dal sonno profondo della morte e si calarono nel mare freddo del nord. Sono ancora là, le donne maledette, urlano di dolore nelle notti buie e asciugano le lunghe chiome al sole.
Vivono libere nell’oceano infinito, ma ancora non sanno se avrebbero preferito dormire per sempre piuttosto che continuare a vivere all’infinito con la memoria delle proprie sofferenze e la consapevolezza di restare per sempre, donne maledette.

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