Un sogno riporta alla luce l’incontro con una persona
che si è amata
di Paolo Brondi
Tornai a casa con una saccoccia di spesa: pane di mais,
focaccine, latte, formaggi, una porzione di torta alle mele. Mangiai con
avidità pane, focaccia e torta e dopo il caffè mi distesi sul divano e a poco a
poco mi addormentai. Dopo due ore, intorno alle quattro, mi risvegliai trovandomi
stranito e quasi inconsapevole di dove mi trovassi. Un sogno, un bel sogno
aveva accompagnato il mio meritato riposo. Nel sogno era comparsa Rosalba e
tutto si svolse con straordinaria realtà.
“Luca, perché non mi raggiunge a Siena? All’Accademia musicale Chigiana
stasera è in programma un interessante concerto con gli Swingle Singers. Mi
sono già permessa di prendere un biglietto anche per Lei!”. Luca accettò
l’invito. Percorse in fretta la superstrada Certosa-Siena, animato dall’ansia di
rivedere Rosalba. La raggiunse nel tardo pomeriggio e, quando furono vicini,
senza parole, si guardarono intensamente e si abbracciarono. Seduti accanto,
ascoltarono la musica degli Swingle, così ricca di vibrazioni ed in cui il what
si scioglie nell’how, facendosi movimento di luce, materia in fermento, freddo
polare e caldo australe, e avvertirono la caduta di ogni barriera.
Rosalba appariva alleggerita, serena; nei suoi occhi si
leggeva tutta la gioia attesa da sempre. Luca la guardò e a lungo le strinse la
mano. Finito il concerto, mano nella mano, attraversarono piazza del campo e
raggiunsero il monolocale. Non parlarono più: lieve era il loro passo e nella
mente cresceva il desiderio come fiore che attende il forte calore del sole. Seguirono
ore dolcissime e poi, quieti e felici, si addormentarono, mentre fuori il cielo
era pieno di stelle.
Riavutomi mi chiesi perché mai avessi sognato Rosalba e con
così numerosi dettagli. Forse per appagare l’inconscio cui naturalmente non era
stata indifferente la bellezza della donna. Oppure per adolescenziale
ricongiungimento a figure amate e perdute nei vortici dell’oblio, alla ricerca
di vicende fonte di rinnovata identità. Come quella vissuta un giorno in cui
una mia paziente mi aveva chiesto aiuto per il figlio piccolo, pregandomi di
recarmi nella sua casa: percorrendo la strada indicata vidi, ad un tratto, dal
cancello di una villa, uscire una donna: molto bella ed elegante. Lei mi guardò
con intensità e poi, di slancio, mi abbracciò. Mi aveva riconosciuto subito,
mentre io faticavo a ricordarla. Non aveva più i capelli biondi di allora, il
calore degli occhi di allora, ma pian piano riannodavo le fila di una stagione
lontana, adolescenziale e meravigliosa per i primi palpiti del cuore.
Dopo anni di lontananza da quel luogo e
di soffocamento delle memorie a esso legate, ecco la stranezza di quell’incontro:
di fronte a me stava Giovanna, la donna che, precoce fanciulla, per prima mi aveva
svelato i segreti dell’amore. L’incontro fu breve, ma estremamente affettuosa
l’accoglienza. Dopo la prima sorpresa potemmo riannodare le trame della nostra
esistenza. Rammentando e ripetendo i nomi dei nostri compagni riuscimmo a
colmare gli ultimi vuoti e a recuperare immagini del nostro sentire, dai colori
tenui, delicati, sereni e dai modi carezzevoli.
Ed io mi rivedevo, appena più che
fanciullo, tornare a piedi su un lungo viottolo, dopo le ore di scuola media con
gli occhi perduti in una quotidiana dolce visione. Lei mi aspettava, ogni
giorno, dietro i vetri della sua finestra e mi salutava così, senza parole. Nei
giorni di freddo mi veniva incontro, con il visino arrossato, i biondi capelli
scomposti e sorrideva, rivelando la sua anima gentile e romantica. La presi un
poco in giro, scherzando, quando, per la prima volta le vidi calze di seta e
tacchi un poco più alti e lei, confusa, arrossiva guardandomi con tanto, tanto
amore.
In quel giorno, da quella finestrella si
affacciò la figlia di lei, non in silenzio, ma con voce squillante: “Mamma, hai
ritrovato il compagno di un tempo?”. Non chiesi a Giovanna a chi assomigliasse
la figlia o perché mi avesse subito individuato come l’antico compagno. Avrei voluto
che somigliasse solo a lei, per ricreare, per un istante, l’incanto di quella
perduta età, quando il nostro stare vicini, in rinnovati giri di affetti,
costituiva tutto il conforto del vivere. Un incanto spezzato troppo rapidamente
per un susseguirsi di eventi non vissuti più con la stessa intensità e
spontaneità del cuore, appannata dalla esperienza e dal realismo del poi.
Ci salutammo con un arrivederci, a
presto, quasi prefigurando un desiderio di mantenere la purezza di quelle
memorie contro il gelo del tempo che passa. Restava il presente, con il dolce
tepore della memoria di lei, ma anche con il dubbio che nella mia mente si
celasse un indizio di indeterminatezza dei miei sentimenti. Mi scrollai d’addosso
l’ambiguità e, per risvegliarmi dai sogni, ma forse per continuarne la
dolcezza, mi preparai una tazza di cioccolata caldissima: la sorseggiai
lentamente e mi procurai nuova energia.
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