di Marina Zinzani
(Introduzione di Angelo Perrone)
(Tratto da “Racconti della metro”)
(Angelo Perrone) La metro non è l’unico luogo-simbolo delle città moderne. Certo particolare. In uno spazio piccolo e super affollatosi ritrova un’umanità eterogenea. Persone sconosciute con destinazioni diverse. Difficile scambiarsi sguardi, rivolgersi parole. Ogni persona, un mondo a sé. Pensieri, desideri, preoccupazioni.
C’è poi una maschera espressiva che nasconde l’intimità. Il viso è chino sullo smartphone, sedotto dalla magia dello schermo. Un ripiegamento fisico, oltre che mentale. Non siamo più abituati a guardarci intorno, non accade di incrociare gli sguardi. Ciascuno conserva la sua diversità, persino il mistero.
Marina Zinzani prova ad immaginare pensieri e sentimenti di qualcuno dei viaggiatori. Dietro ogni volto, può esserci una storia da conoscere, tutta da scoprire. E in cui ritrovare qualcosa di noi. Dopo le storie di Agnese, Sergio, Lucia, Enrico, Roberta, Vincenzo, Vittoria, Benedetta, Ettore, Francesca, Annalisa, Miriam, Piero, Lucrezia, Simona, Claudio, Elisa, Teresa, Roberto, Virginia, Giulio, Ermanno, Eugenio, ecco quella di Giulia
Non ho voglia di andare ma devo andare per forza, non posso fare altro, tocca a me. Ci sono delle cose che uno deve fare e non può esimersi, deve fare buon viso, mettere su un bel sorriso, parlare amabilmente. Anche se il cuore vorrebbe essere altrove.
È una festa di fidanzamento a cui devo partecipare per forza. La festa di una persona cara, che ha voluto a raccolta i suoi amici. Si festeggia l’ufficialità di un rapporto, ci saranno anche i genitori, qualche parente, la serata scorrerà in allegria. Così deve essere, così sarà.
Restare in silenzio, essere in un angolo in cui nessuno ti vede, camminare così lieve che non vieni neanche notata. Portarsi dietro fardelli che nessuno sa. In questo caso il fardello non lo dico a nessuno, faccio buon viso, come sempre: Enrico, il fidanzato di Francesca, della mia amica Francesca, stava con me prima di mettersi con lei, in un rapporto che sfocerà a quanto pare in un matrimonio.
Certo, cose che capitano. Diciamo che io ed Enrico siamo stati assieme tre mesi, e ci sono stata benissimo con lui: intelligente, non bello ma interessante, gentile, sempre curioso. Abbiamo visto più mostre in quei mesi più di quanto ne abbia visto in tutta la mia vita, anche se sono giovane. Sono stati mesi in cui ho scoperto il jazz, lui mi portava in certi localini e la serata passava in un soffio, era tutto così piacevole, c’erano anche dei suoi amici ogni tanto, erano davvero belle serate.
Poi è arrivata lei, la mia amica Francesca. Ecco, non bisognerebbe esporre ciò che si ha di bello agli altri, perché gli altri possono essere invidiosi e portartelo via. Così ha detto mia madre, quando ha saputo la storia. Donna diversa da me, mia madre, ben più sanguigna. La tua amica ti ha portato via il ragazzo, punto. Dovresti toglierle il saluto. Così mi ha detto. E forse ha ragione, non c’ero rimasta bene, anzi c’ero rimasta proprio male.
Perché Francesca ha cominciato a fare la svenevole, o forse perché è decisamente più bella di me, e si sa che gli uomini ci guardano a certe cose, l’aspetto fisico è importante per loro. Va bene che io passo un po’ da intellettuale, amante dei film coreani e cose così, ma un paio di belle gambe, meglio se messe in bella mostra con una minigonna, fanno sempre il loro effetto.
E così Francesca ha tessuto la sua ragnatela piano piano, come un ragno che usa armi di seduzione che ben conosce con le persone. Essere suadente, essere interessante, fare sentire un ragazzo importante, intelligente. E poi c’è l’eros. Lo sappiamo cos’è l’eros, quello che muove le cose, quell’alchimia davanti al quale puoi far ben poco.
Ecco, questa ragazza qui davanti rassomiglia a Francesca. È una che si nota, i capelli lunghi, rossetto sempre rosso acceso, mai senza trucco, una certa positività che aiuta non poco, che attrae, un buonumore e una leggerezza che attirano le persone.
Io invece appartengo al crepuscolo, al tramonto, alla luna. Lei all’alba, al sole. Siamo così diverse, eppure siamo amiche dai tempi della scuola. Ad un certo punto, mesi fa, lei mi ha dato appuntamento in un bar, e c’era imbarazzo nell’aria, sentivo che qualcosa doveva dirmi. È esordita con queste parole: “Devo dirti una cosa che non ti farà piacere, ma preferisco essere sincera e leale, io provo qualcosa per Enrico, abbiamo cominciato a vederci.”
Ecco, una persona normale, normale dico, normale come sono 999 persone su 1000 a quel punto si sarebbe alzata ed avrebbe detto: “Non voglio vederti mai più”, e la storia di un’amicizia si sarebbe interrotta per sempre, un classico, l’amica che porta via il ragazzo ad un’altra amica, forse gusti simili, chi lo sa, certo una slealtà senza rimedio, la fine di un’amicizia.
Invece lei, quel giorno, ha tirato poi fuori un discorso, lungo, intelligente forse, sul valore dell’amicizia. Le dispiacerebbe perdermi, non si possono cancellare tanti anni così, di confidenze, di viaggi, per una storia che forse per me non era così importante. In fondo eravamo assieme da soli tre mesi, ed è successo fra lei ed Enrico qualcosa che non aveva cercato, è successo e basta, un colpo di fulmine.
A questo punto, dopo un’ora, in cui però le ho manifestato tutta la mia delusione, ho chiesto tempo, avevo bisogno di tempo. E il tempo mi ha portato a vedere le cose da un altro punto di vista. Sarò debole, stupida, ma forse sono quell’uno su mille che vuole salvare l’amicizia di entrambi. Senza rancore.
Quando l’ho raccontato a mia madre, lei ha scosso la testa, il suo sguardo diceva già tutto. Eppure lei ha un’amica, Ilaria, che le aveva parlato del destino, ognuno ha il proprio destino, bisogna lasciare scorrere delle cose brutte e conservare le cose belle. Anche un’amicizia. Ecco, mia madre non ha capito a fondo le parole della sua amica, ma a me hanno aiutato.
E così ecco andare alla festa. C’è una parte di me che dice “sei stupida, nessuno lo farebbe”. Da una parte non vorrei andarci, lo so. Forse è debolezza la mia, bisogno di affetto. È una situazione complessa. Ho anche paura della solitudine, perdendo Francesca perderei altre amiche forse.
Sono stupida, dovrei sentire la mia parte interiore che è ancora ferita. Però uno non può portarsi dietro il rancore per sempre. Chiaramente Enrico non era il ragazzo giusto per me, non era così attratto da me. Forse c’è un nuovo incontro dietro l’angolo che non scomparirà come lui. Ecco, la positività. Ognuno ha un proprio destino. E non avere rancore, cercare di non averlo, ci rende migliori. Sono arrivata. Abbiategrasso.
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