La negazione del diritto ad esistere
(Angelo Perrone) Si discute di un progetto ideato a tavolino dalla Russia di Vladimir Putin, e poi messo in atto dal 24 febbraio del 2022. Un crimine di guerra, secondo lo Statuto di Roma che ha istituito la Corte penale internazionale, come il genocidio, l’aggressione, i crimini contro l’umanità. Qualcosa cominciato appena i russi misero piede in Ucraina, poi proseguito, tuttora in corso, tanto che le indagini continuano.
Sono seicento i casi documentati dalla Cpi, ma secondo un rapporto dell’Onu sarebbero almeno seimila i bambini prelevati e portati in Russia a forza. L’Ucraina lamenta la sparizione di almeno venti mila minori, sottratti violentemente ai genitori, prelevati arbitrariamente negli orfanatrofi, separati dalle famiglie con inganni (far credere che i genitori siano morti) o brutalmente, approfittando di bombardamenti e scontri.
Bambini e adolescenti presi di peso, trasferiti su mezzi militari, inviati in 43 centri di rieducazione in Russia.
A prima vista appare un progetto di ingegneria sociale. Rimane complicato capire come sia stato possibile concepire un’idea così obbrobriosa e metterla in pratica con la necessaria lucidità.
L’operazione sarà servita a contribuire alla crescita demografica nazionale in una fase di calo demografico, oppure era finalizzata a danneggiare l’Ucraina e fiaccarne lo spirito di resistenza. Quell’impresa poteva offrire un bottino di guerra, da scambiare con i prigionieri russi all’occorrenza.
Progetti deliranti. Scene strazianti: bambini usati, adoperati, abusati, per scopi indicibili.
L’enormità dell’operazione si intuisce meglio però a livello umano. Bambini portati via alle madri negli ospedali sotto le bombe. Studenti spariti nelle scuole dei territori occupati dai russi e non più trovati dai genitori al termine delle lezioni. Giovani ingannati con il pretesto dell’evacuazione.
Poi quei ragazzi riapparivano in Russia, esibiti nelle scuole e nelle famiglie come trofei di guerra, corpi svuotati dell’anima, con gli occhi coperti.
Gli aspetti traumatici della separazione forzata. C’è l’abbandono fisico della propria terra. L’allontanamento, crudele, dal proprio mondo interiore, l’universo degli affetti, dei ricordi e dei pensieri. Infine la manipolazione della personalità dei giovani alla mercé di un despota, il furto delle origini e dell’identità, l’adattamento forzato ad una realtà estranea, prospettata come condizione unica di sopravvivenza.
Alla base, emerge l’idea che la singolarità dell’essere umano, in questo caso il giovane, non abbia valore, né diritto ad essere sé stesso. Il bambino, l’uomo, è materiale informe, quasi creta plasmabile a piacimento, soggetto eterodiretto, sottoposto al dominio di altri. Non c’è nulla in quei bambini di irriducibile, che debba essere rispettato sopra ogni cosa.
La deportazione è dunque congiunta alla manipolazione delle persone, entrambe sono parti dello stesso disegno perverso, abbattere gli ostacoli e costruire l’uomo nuovo, il buon suddito, privo di spirito critico e funzionale alle perversioni del potere.
L’operazione brutale verso i bambini è coerente con il progetto globale alla base dell’invasione russa. Anzi si inserisce in esso, come tassello necessario, e ne esprime la carica dirompente e più autentica. La distruzione fisica del Paese è perpetrata anche attraverso l’espropriazione della mente dei bambini, non potrebbe avvenire diversamente perché essi sono il futuro. Occorre farli tacere. A spaventare, alla fine, è il senso infallibile di verità nascosto in ogni singolo individuo.
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