di Marina Zinzani
Si deve essere guerrieri anche se non si è in guerra?
Gli affronti di un compagno di scuola, di più compagni di scuola impongono di prendere le armi. Le armi degli aggressori sono mosse dalla stupidità, dal desiderio assurdo della sopraffazione verso un più debole, dal loro essere in gruppo perché da soli sarebbero molto meno forti.
Le armi della vittima non esistono. La vittima è vittima e basta. Può cercare di nascondersi, di sperare di non essere presa di mira per un po’, magari tocca a un altro per qualche giorno. Non servono le armi del menefreghismo, perché il dolore causato fa male, tutto è pervaso dalla paura, si è soli nella gabbia con i leoni, e il parlarne anche con qualcuno, un padre, una madre, potrebbe peggiorare le cose, così si pensa, magari sbagliando. E infatti spesso si tace. Si tace e si porta quel dolore in silenzio, come un fardello che si deve accettare, subire, non c’è via d’uscita.
Negli anni cambieranno i compagni di scuola, cambieranno gli ambienti, magari ci saranno uffici, dopo il diploma, in cui accadono cose poco piacevoli, che ricordano quegli anni terribili della scuola. Il bullismo resta dentro, quella sopraffazione ha cambiato la vittima, i ricordi fanno ancora male, a ripensarci. Anche se davvero tanti anni sono passati. Restano le armi del cercare di dimenticare, armi raffinate che non sempre si trovano, resta la ricerca del bello che cerca di sovrapporsi al brutto che si è subito. Resta la propria anima, ferita ma vittoriosa nella propria forza.
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