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Poppiano di Montespertoli, passeggiata verso il castello

Racconto
di Giovanna Vannini

Ci si chiude l’uscio alle spalle, mentre le finestre delle case rimangono aperte lasciando che il sole d’aprile e gli aromi di una campagna in risveglio, invadano leggiadri le stanze. Una brezza a tratti più vigorosa, ci scompiglia i capelli. Scarpe da jogging, abiti comodi adatti al passeggio.
Una felpa stretta in vita per quando il calore di questo sole smanioso di farsi vedere e sentire, andrà a nascondersi con lui dietro l’orizzonte. I pollini nell’aria solleticano i nasi allergici che in ripetuti starnuti soccombono. Insignificante scotto da pagare, quando si ha la fortuna sfacciata di vivere in campagna, tra poggi e borghi adagiati nel verde. A pochi chilometri Firenze, Pisa e Siena. E l’arte è servita.
Serrata dunque la porta, accompagnato nella battuta il cancelletto, mi immetto sulla Via di Poppiano in direzione dell’omonimo Castello. Pian piano il passo prende il suo ritmo mentre l’occhio come sempre non sa dove posarsi, frastornato com’è da tanto paesaggio e colore che lo circondano. Un concentrato raggio di sole mi illumina il volto, regalandomi da qui al mio rientro, il primo colorito di una abbronzatura in divenire.
Per andare al Castello, antichissima dimora dei Conti Guicciardini, percorro in discesa l’antico viale che oggi come ieri designa il tragitto tra “poggio e borgo di Poppiano”. Cipressi verdi come sentinelle, ne costeggiano di questo i lati, vigili e discreti sul mio passare. Alla fine del viale mi tengo a destra, e percorsi ancora pochi metri in accennata salita, entro nel borgo.
Le case quasi incastrate l’un l’altra, costituiscono una specie da avamposto al “maniero”, che già s’intravede. Avanzo ancora. La  strada si fa piazzale antistante l’entrata del  Castello. Un enorme cancello ne custodisce accesso e corte interna. Tre le torri che svettano. Più imponente una, minori le altre due. Indiscusse sanciscono l’origine e l’uso che fu, dell’immensa dimora.  Una coppia di turisti muniti di obbiettivo, sbirciano la corte oltre l’antica cancellata, lasciandosi andare a più di uno scatto.
Se il mio inglese fosse un po’ meno arrugginito mi potrei avvicinare e raccontar loro di quanto sia suggestiva la stessa d’estate, quando a metà luglio per una sera, s’illumina di fiaccole, s’imbandisce di cibo povero e buon vino, risuona di note. Per tetto un cielo di luna e stelle al bisogno. Ma raccontato che gliel’ho solo col pensiero, proseguo il mio cammino tra vigne e oliveti, discese e salite, in piacevole alternanza.
Quando la strada si sdoppia a me la scelta: borgo di Fezzana o di Montebetti? Il primo oggi ha la meglio, mentre le gambe già prendono velocità nell’ennesima discesa. Due anziani per mano mi vengono ora incontro, la vita di ognuno consegnata in quella morbida stretta. Stesso passo, stesso ritmo, come se fosse un solo arto a condurli. 
“Buonasera” gli dico con un sorriso. 
“Buonasera” insieme uguale rispondono.
E prima che mi sfilino accanto provo a immaginare quanti siano gli anni che passano tra quelle dita intrecciate. Con commozione e tenerezza penso a noi due, a chi di noi per primo, lascerà la mano dell’altro. Devo stare invecchiando se questi pensieri mi spaccano il cuore…
Passeggiando l’anima si nutre, si mettono in fila le emozioni, si resetta la mente, si sfoltiscono i pensieri. Psicologica terapia a costo zero, allenamento fisico senza palestra. Negative partenze. Positivi rientri. Anche se la vita non proprio davvero, è mai una passeggiata.
Giunta l’ora di ritorno girando sulle suole di gomma, a ritroso ripercorro il cammino. Paesaggio, colori, borghi e Castello uguali ma diversi, di nuovo catturano il mio sguardo.
Dipende dalla luce, dal passo e dal mio sentire.

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