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La quiete oltre i singhiozzi

di Cristina Podestà

Ricordava adesso quando da piccolo lo mettevano a dormire in quella strana camera da letto; uno stanzino senza finestre, uno sgabuzzino quasi, un letto di ferro ad una piazza, vecchio, cigolante, con lenzuola già vissute da altri corpi, stropicciate e non fresche.
Quando la mamma doveva uscire la sera, dormiva lì, a casa di una parente lontana che lo metteva in quel letto che a lui non piaceva. Aveva paura in quel luogo buio e poco accogliente, dormiva male, vegliava durante la notte e al mattino era stanco e arrabbiato. 
Voleva una famiglia come quella dei suoi amici, come quelle che vedeva nei film, come la aveva sempre sognata. Era ormai grande, avrebbe potuto stare in casa da solo quando mamma lavorava di notte. Ma lei non si fidava e lo portava in macchina da questa sua seconda cugina, che lo accudiva sbuffando un po’.
Lui si sentiva a disagio, veniva messo a letto presto, anche nelle sere estive quando sentiva il chiacchiericcio di altri ragazzini fino a tardi fuori, sulla strada adiacente alla casa. Si sentiva impotente, si mordeva le mani e giurava che da grande avrebbe avuto il suo riscatto. 
Così, dopo aver pianto furiosamente, picchiando il cuscino e soffocando i singhiozzi alla fine, esausto e tremante, si addormentava a tarda notte giurando a sé stesso che si sarebbe trovato un giorno a fare una vita piena di successo e che avrebbe aiutato la madre.
Si sarebbe comprato una villa, avrebbe avuto la servitù e lui e mamma avrebbero vissuto di rendita, felici e sereni senza più tutte queste difficoltà. Così, sorridendo, finalmente trovava la quiete con ancora le lacrime che scendevano sulle sue rosee guance di quasi adolescente. 

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