venerdì 20 gennaio 2023

Roberta

di Marina Zinzani
(Introduzione di Angelo Perrone)

(Tratto da “Racconti della metro”)

(Angelo Perrone) La metro non è l’unico luogo-simbolo delle città moderne. Certo particolare. In uno spazio piccolo e super affollatosi ritrova un’umanità eterogenea. Persone sconosciute con destinazioni diverse. Difficile scambiarsi sguardi, rivolgersi parole. Ogni persona, un mondo a sé. Pensieri, desideri, preoccupazioni.
C’è poi una maschera espressiva che nasconde l’intimità. Il viso è chino sullo smartphone, sedotto dalla magia dello schermo. Un ripiegamento fisico, oltre che mentale. Non siamo più abituati a guardarci intorno, non accade di incrociare gli sguardi. Ciascuno conserva la sua diversità, persino il mistero.
Marina Zinzani prova ad immaginare pensieri e sentimenti di qualcuno dei viaggiatori. Dietro ogni volto, può esserci una storia da conoscere, tutta da scoprire. E in cui ritrovare qualcosa di noi. Dopo le storie di Agnese, Sergio, Lucia, Enrico, ecco quella di Roberta

C’è un posto a sedere. Dovrei mettermi gli occhiali scuri, perché ho gli occhi lucidi e una gran voglia di piangere. Devo andare da mia madre, glielo avevo promesso ieri sera, e sento che non è la mattinata giusta, ci vado in uno stato d’animo pesante, se non terribile. Andrò con la mia faccia triste, preoccupata, e lei lo noterà subito, è come un detective, ha l’occhio indagatore, e mi chiederà “Hai qualcosa?”.
E io a dire no, che ho dormito poco stanotte, che ho un po’ mal di testa ma che sono andata da lei lo stesso perché dovevo portarle delle medicine, dovrò dissimulare, sì, la parola giusta è dissimulare. Inutilmente, perché lei me lo legge negli occhi quando ho qualcosa che non va.
Ce ne siamo dette di tutti i colori stamattina, con Carlotta. Una figlia contro la madre, perché non mi sembra di averla aggredita particolarmente. Le ho detto che è rientrata alle sei del mattino, e la cosa non mi sta bene, non mi ha mandato un messaggio che tardava così tanto, Paolo era a lavorare, fa i turni, ma io ero molto preoccupata perché non ha mai fatto questo orario senza avvertire.
Ha solo diciotto anni, le ho detto. Un po’ di rispetto ci vuole anche per noi, che restiamo a casa e pensiamo alle cose peggiori. Io, ho detto, alla sua età rientravo al massimo alle due, e mio padre già sbuffava. Comunque non ho mai fatto preoccupare i miei genitori, comprendevo il loro stato d’animo. Questi sono orari che a me non stanno bene, diciamo orari moderni.
Apriti cielo! Mai l’avessi detto! Mi ha investito con una serie di frasi che sembravano delle pallottole uscite da una mitragliatrice. Mi sono accorta dall’alito che aveva anche bevuto, e la cosa mi ha disturbato ancora di più. Mi ha detto che, e qui dovrei mettere due puntini e fare un elenco: sono antiquata, che devo guardarmi allo specchio perché cerco di sembrare giovane ma appaio solo una donna di mezza età, con una faccia sempre appesa, mai un sorriso, uno slancio, solo raccomandazioni, paure, e lei non vuole diventare come me, vuole vivere!
Lei ha diritto a vivere e non può accettare che io le tarpi le ali! Poi, cos’ha detto? Che io e suo padre non capiamo niente del loro mondo, che siamo due poveretti che stanno sempre in casa e al massimo si fanno una settimana al mare d’estate in un albergo squallido della Romagna, così ha detto. Mi veniva da ridere, un riso isterico certo, perché in quel bell’albergo a Rimini ci siamo andati per una vita, e lei stravedeva per andarci.
Era una piccola felicità quella settimana, tutto era all’insegna del buonumore, del divertirsi a fare i bagni, del mangiare bene, ci siamo andati per anni con una coppia nostra amica, hanno una figlia anche loro e le due ragazze si divertivano. Quest’anno Carlotta non è più voluta venire con noi, è andata in Grecia con una comitiva che frequenta, era la prima volta che succedeva, eravamo un po’ in apprensione ma alla fine è andato tutto bene.
Comprendo che i giovani vogliono fare le loro esperienze. È giusto. Ma ho paura che le succeda qualcosa, si sentono cose terribili là fuori e rientrare alle sei del mattino è decisamente troppo.
E poi, cosa ha detto? Che noi non l’abbiamo mai capita, che lei si è sentita sempre incompresa, che le sue amiche hanno genitori più moderni a cui si confidano, perché loro non giudicano, non entrano in allarme come noi per cose che fanno tutti. E allora mi è sorto un dubbio, cosa voleva dire? Per caso ha fumato uno spinello, le hanno offerto della droga, delle pasticche?
Perché sono cose che fanno male e poi si finisce in una spirale, ho cercato di dirgliele queste cose, ma lei si è messa ad urlare che non ne può più dei miei discorsi da maestrina, una serie di cose terribili mi ha detto. Penso che abbia sentito anche la vicina al piano di sopra, perché quando l’ho incontrata in ascensore mi ha fissato a lungo, guarda caso ci siamo incontrate, ed era come avesse qualcosa da dirmi, forse le facevo pena, sembrava avere lo sguardo indagatore e compiacente, non lo so, magari lo va a dire ad altri del palazzo che io e mia figlia litighiamo e i toni sono alti.
Allora Carlotta è andata a letto, sbattendo la porta. Io ho fatto colazione, ero provata e non poco, il cuore le sa certe cose, deve avere conosciuto un ragazzo che la sta portando su una cattiva strada, o si fa influenzare da amiche che frequenta ultimamente, ha fatto tempo fa nomi di ragazze che non conosco. Deve essere così, si sta facendo influenzare, e mi vede come un impedimento alla sua voglia di libertà, di starsene fuori fino a tardi a divertirsi e a bere, per non dire altro. Anche se quello che ho avvertito, nelle sue parole, sembrava simile all’odio. Odio. Odio.
Ci mancava l’appuntamento con mia madre stamattina, proprio la mattinata giusta. Con questo stato d’animo e la voglia di piangere che continua, perché un po’ di lacrime le ho già versate. Rientrerò a mezzogiorno a casa, e chissà come la trovo, se mi parla. Come cavolo si fa a dialogare con questi figli se loro alzano una barriera?
Anch’io vorrei urlare ogni tanto, parlare di cosa significa lavorare in un ambiente duro per anni e anni, fare tutto in casa perché lei non ha mai pensato di aiutarmi, sempre chiusa in camera, sempre nel suo mondo. Io non ho diritti? Solo perché l’ho messa al mondo non ho anch’io le mie necessità, qualcuno che sia gentile con me? Sì, Paolo, ma questa è un’altra cosa, grazie a Dio abbiamo un buon rapporto, ma negli ultimi tempi ci sono discussioni fra di noi anche per colpa di nostra figlia.
Cosa posso fare? Come si può riaprire la porta che si è chiusa? C’è qualcuno che può aiutarmi? Gli psicologi sui blog o alla tv? Cosa dovevo fare stamattina ad esempio, quando Carlotta mi ha assalito in quel modo? Hanno la soluzione gli psicologi?
Mi viene in mente una cosa adesso. Una cosa che la mia amica Ilaria aveva fatto, quando c’era stato un violento litigio con sua figlia. La ragazza frequentava un tizio che non le piaceva, ma la madre si era sbagliata, con il tempo quello si è rivelato un buon rapporto, solido anche. All’inizio però c’era stata una brutta discussione, e Ilaria era pentita, lei non è il tipo da intromettersi troppo nelle faccende degli altri, in genere è discreta, anche con i figli.
Comunque quella volta lei era uscita, era andata a prendere un giubbotto che la figlia aveva adocchiato tempo prima in un negozio, e la cosa aveva funzionato. Un regalo che aveva riaperto un canale di comunicazione fra di loro, non avevano toccato più l’argomento critico, e quel gesto aveva detto tante cose, un “ti voglio bene, ma non so come dirtelo” che aveva funzionato.
Ecco, e se facessi così anch’io con Carlotta? Poco tempo fa, quando eravamo insieme, aveva visto un maglione che le piaceva, ma costava un po’ troppo, ho tergiversato. E se andassi a prenderlo adesso? Non ci scontriamo più, non parliamo degli orari in cui torna, le faccio solo un regalo e basta. Magari se lo prova davanti allo specchio, è un bel maglione nero tutto lavorato che con i jeans sta sicuramente bene, io la guardo, dico qualcosa, piano piano riprendiamo a parlare in modo civile.
Che faccio? Quel negozio è poco distante. Dovrei scendere alla prossima fermata, Wagner. Ci vado più tardi da mia madre. Mi alzo. Chissà se funziona. Coraggio.

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