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Vittoria

di Marina Zinzani
(Introduzione di Angelo Perrone)

(Tratto da “Racconti della metro”)

(Angelo Perrone) La metro non è l’unico luogo-simbolo delle città moderne. Certo particolare. In uno spazio piccolo e super affollatosi ritrova un’umanità eterogenea. Persone sconosciute con destinazioni diverse. Difficile scambiarsi sguardi, rivolgersi parole. Ogni persona, un mondo a sé. Pensieri, desideri, preoccupazioni.
C’è poi una maschera espressiva che nasconde l’intimità. Il viso è chino sullo smartphone, sedotto dalla magia dello schermo. Un ripiegamento fisico, oltre che mentale. Non siamo più abituati a guardarci intorno, non accade di incrociare gli sguardi. Ciascuno conserva la sua diversità, persino il mistero.
Marina Zinzani prova ad immaginare pensieri e sentimenti di qualcuno dei viaggiatori. Dietro ogni volto, può esserci una storia da conoscere, tutta da scoprire. E in cui ritrovare qualcosa di noi. Dopo le storie di Agnese, Sergio, Lucia, Enrico, Roberta, Vincenzo, ecco quella di Vittoria

C’è poca gente a quest’ora, ci sono dei posti liberi. Questo tizio si è portato la chitarra, spero che non sia uno di quelli che suona nella metro, non ho voglia di sentire uno che suona adesso. Non sono dell’umore giusto, sono confusa. In pratica nel pallone. Per fortuna quello scende subito. Meglio così. Coraggio, Vittoria, ne verrai fuori. 
Mi sono innamorata di un uomo non libero, sono una sciagurata, una rovina famiglie, una dei peggiori soggetti sulla faccia della terra. Sono una poco di buono. La moglie di Alessandro è venuta nel mio bar oggi. Che coincidenza. Mi tremavano le gambe, ho sentito il suo sguardo addosso, è venuta per me, ne sono sicura. 
Mi ha chiesto un cappuccino, e credo di essere diventata rossa, le mani erano incerte sul da farsi, caffè, latte, tazza, cucchiaino, ho avuto un momento di amnesia, come se non sapessi più come si fa un cappuccino, cosa si mette sul banco. Quella donna, Sara si chiama, mi ha guardato a lungo, fissato dal momento in cui è entrata, i suoi occhi sono stati come spilli, indagatori, e io una barista che si trova nella posizione assurda di chi è sezionato, per una grande colpa. Non era sola. Aveva una bambina con sé, sua figlia di otto anni. 
Madre e figlia non erano lì per caso, ne sono certa. La bambina mi ha chiesto una cioccolata in tazza, e non mi ha fissato come la madre, si guardava attorno, era interessata ai pasticcini al banco. Una bella bambina bionda, con le trecce, i jeans, uno zainetto. 
Cosa è successo in quei minuti? Quanto tempo è stata nel bar quella donna? Dieci minuti? Di più. Poteva consumarlo anche più velocemente il suo cappuccino, invece l’ha sorseggiato poco alla volta, e il suo sguardo continuava a girarmi attorno, come un fantasma, quelli che si vedono nei film con il lenzuolo bianco, con una maschera che fa anche paura.
Hai solo trent’anni Vittoria, lascialo andare. Forse ti ha ingannata. Alessandro ti ha raccontato la solita storia dei matrimoni in crisi, di una separazione in casa, più o meno, e tu ci hai creduto. Dice che sei la luce della sua vita, che si sente vivo solo quando ci sei tu. Ha una moglie a casa, una figlia che ha diritto ad avere una famiglia unita. 
Mi aveva detto che erano già andati dall’avvocato, ma ci avevano ripensato per via della bambina, per una serie di problemi pratici ed economici di non poco conto. La moglie voleva riprovarci, voleva ricominciare, lasciare da parte le incomprensioni che avevano rovinato la loro storia.
Lui mi ha detto che non può fare a meno di me. Questo è un punto, questo è un punto. Ha detto che esiste solo la facciata, una separazione in casa non rivelata a nessuno, ma per sua moglie prova solo un tiepido affetto, l’amore è andato via, così ti ha detto, anche per cose che sono accadute fra di loro abbastanza gravi.
Ho bisogno di riflettere, ho la testa confusa. Quella donna lì davanti mi fissa, anche lei mi fissa oggi, mi guardano tutti. Si legge quello che ho dentro. Disagio. Sono in una situazione che non mi piace. Devo uscirne e trovarmi un uomo con una storia meno complicata. Abbasso gli occhi. Devo pensare, parlare con Alessandro, raccontargli quello che è accaduto.
Le suona il telefono. Penso che si chiami Ilaria, perché ha messo il vivavoce e chi è dall’altra parte ha fatto questo nome. Non sopporto le persone che parlano dei loro affari a voce alta, se tutti facessero così nella metro o altrove non si vivrebbe più. Va bene, adesso parla a voce più bassa, ma si sente lo stesso. Cerca di incoraggiare qualcuno, le sta dicendo che la decisione deve prenderla lei, non può farlo nessun altro.
Sembrano parole adatte a me, a questo momento. L’amore. La fine di questa storia con Alessandro sarebbe qualcosa di bello che mi viene strappato, un pezzo di cuore. Credo di avere passato l’anno più bello della mia vita con lui. Devo rinunciare a tutto? Lui ha detto che si sente ingabbiato in una storia che non è più niente, ma ha una figlia, la situazione non è semplice, sotto nessun punto di vista, anche lavorativo, dato che lavora con suo suocero.
Una bella gabbia. E io lì fuori ad aspettare che esca da questa gabbia, che la figlia diventi grande abbastanza da capire che i genitori non si amano più come un tempo, dopo saranno liberi di farsi una nuova vita. Devo aspettare, e vivere nell’ombra.
Quanti anni passeranno così? Nella solitudine ad aspettare una telefonata quando lui esce a portar fuori il cane? È questa la vita che vuoi Vittoria?
Gli occhi di quella donna, al bar, non solo erano occhi indagatori, avevano un fondo di tristezza. Chissà cosa ha pensato di me: è più giovane di lui, quindici anni in meno forse, è lei la donna, l’altra. Potrebbe trovarsi un uomo libero, e questo faciliterebbe un riavvicinamento fra me ed Alessandro. Così avrà pensato. 
Quegli occhi erano come se volessero dire qualcosa. Lascialo a me, a sua figlia. Una supplica. Mi sono morsa le labbra quando è andata via, sono andata in bagno, mi mancava l’aria.
È ora di scendere, ci siamo. Monumentale. Scende anche la donna che ha finito di parlare ora al telefono, ha detto “devi decidere tu” prima di chiudere la conversazione.
Sembra veramente una frase fatta per me. Devi oscurare il tuo cielo, Vittoria, affinché la luce torni su quella famiglia. Stai vaneggiando. Ma devi prenderla veramente una decisione, una volta per tutte.

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