(Angelo Perrone) Anche per l’arresto di Matteo Messina Denaro, non sono mancati sospetti, dubbi, perplessità. Si è fatto catturare. Ci sono state trattative per uno scambio. Si è contrattata la liberazione di mafiosi detenuti. E così via.
Le cronache sui fatti intrecciate al racconto di possibili intrighi. Spesso solo illazioni su comportamenti anomali o deviati degli apparati statali, di per sé non nuovi, ma solo in parte provati.
Le teorie complottiste hanno l’effetto di sminuire il valore di un successo e di offuscare il confine tra le ombre e la realtà, che invece va mantenuto proprio per andare sino in fondo.
Si è creato, a prescindere dal fondamento, un riflesso condizionato per cui dietro ogni fatto deve esserci una trama occulta. La sindrome del complotto rimanda alla figura del puparo nel teatrino siciliano.
Ma proprio l’opacità di certi comportamenti e il dovere di indagare a fondo esigono che il giudizio sia separato da altro: il pregiudizio, l’avversione preconcetta, il sospetto aprioristico. Teorie bizzarre e sospetti fantomatici non hanno giustificazione nella realtà, eppure hanno terreno fertile.
Esse riflettono il solco tra cittadini e Stato, il senso di estraneità dei cittadini rispetto al mondo pubblico. È un’altra conseguenza, la più grave, della crisi delle istituzioni e della incapacità di dare voce alle esigenze delle persone.
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