di Cristina Podestà
A volte tutto sembra immobile. Scaglie di ghiaccio sopra le piante imberbi, tetti che col vento paiono volare per perdersi, adesso immobili sotto il peso della neve sembrano sul punto di crollare.
Poi, nel cielo di velluto blu, un sommesso pigolio di un gatto da un terrazzo di un quinto piano e una carrucola che cigola piano piano nel gelo polveroso del ponte che sta attraversando.
Silenzio e fissità, l’inverno è anche questo. I bambini rinchiusi nelle classi, la gente ben tappata negli uffici. Pochi negozi aperti perché il gelo della notte appena trascorsa ha lasciato stalattiti e ghiaccioli ovunque. Si esce solo per necessità, e il bambino ammalato schiaccia il naso contro la finestra che si appanna, desideroso di una primavera imminente che gli consenta movimento e gioia, non un fermo imposto mentre il cielo tace e l’inverno malandrino avanza.
La mattina termina su un mezzogiorno di luce ma glaciale. La strada si rianima per poco, nell’eterno ritornare da scuola o dal lavoro. Mi beo della strada più chiara, nella quale intingo i miei occhi e mi disseto grazie all’azzurro intenso, al bianco polare, agli abeti d’argento che risplendono in questo inizio di pomeriggio luminoso.
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