di Marina Zinzani
(Introduzione di Angelo Perrone)
(Angelo Perrone) Racconti dedicati alle emozioni. Chi l’ha detto che si debba essere sempre coerenti? E seguire la parola d’ordine: mai sgarrare, farsi trovare nel posto sbagliato, come se l’unica cosa possibile fosse quella. Solo quella.
La strada di sempre, che si sa come è fatta. Conosciuta persino nei punti accidentati, senza sorprese. Da un lato all’altro. O viceversa. Tutto scontato.
Grigio, terribilmente triste. E poi è difficile stabilire la coerenza una volta per tutte. Giudicarla da fuori. Ognuno avrà pure la sua, sarà libero di decidere per sé.
Ecco, dove la mettiamo la fantasia, dove il gusto di cercare, di sperimentare, di osare? Va bene, potrebbe significare anche perdersi e rompersi la testa. Ma se ne valesse la pena, ci fosse il suo pro, permettesse di conquistare il sogno?
Domande spericolate, direte voi. Avventurarsi senza criterio, dopo aver lasciato a casa la bussola e ogni strumento per orientarsi, non è granché saggio. E sia, va concesso, ma per una volta nella vita sarà concesso smarrirsi?
Marina Zinzani scava nelle pieghe delle emozioni, alcune è capitato a tutti di avvertirle.
Dopo “Sabrina" dedicato all’invidia, "Ilaria" incentrato sulla rabbia, "Rosa" (la malinconia), "Giacomo" (il senso di colpa), "Matilde" (il senso di impotenza), "Maurizio" (il rimpianto), "Alessia" (il rimuginare), "Alessandro" (la paura), "Emilia" (il risentimento), "Augusto" (l’empatia), "Guido" (la preoccupazione), ecco “Jolanda” (la contraddittorietà)
Essere e non essere, diceva Amleto. Essere liberi e non sapere cosa farsene della libertà, sentirsi soli. Essere quello che appari o essere quello che sei veramente, dentro. Essere altrove, altri mondi, altro, ed essere qui, al caldo, è tutto conosciuto, familiare. Quante cose vuoi? Deciditi, si fa tardi.
Non ho ancora pensato al pranzo di Natale. Devo cucinare, questo è naturale, devo chiamare a raccolta i miei due figli e i loro bambini, i miei suoceri, mia madre, anche i consuoceri, insomma, siamo un bel gruppetto e io cucino per tutti.
Da anni e anni questo è un appuntamento immancabile, il giorno dell’anno tanto celebrato, le famiglie si riuniscono, si distribuiscono i regali, c’è un’atmosfera natalizia che invade ogni cosa, dalla televisione, ai negozi, idee regalo, buoni regalo, è questo il momento di riunirsi tutti insieme. E’ bello, è un momento di spensieratezza anche perché i miei nipotini, tre pesti dai cinque ai sette anni, rallegrano la giornata, l’atmosfera è decisamente vivace. Anche troppo.
Mamma cucina. La mamma sarei io. Ci sono le tradizioni, come si può non rispettare le tradizioni, ci sono dei cibi che fanno parte del rito: i cappelletti in brodo di cappone, l’arrosto con le patate, il pandoro con il mascarpone. E poi antipasti vari, fatti con la pasta sfoglia, olive, insalata russa su crostini.
Poi anche un altro primo, per chi non vuole i cappelletti. Anche un secondo arrosto, di coniglio. La mamma cucina, comincia a preparare dal giorno prima, il dolce, ad esempio, e poi deve sistemare la casa, preparare la tavola delle grandi occasioni, il servizio buono, come si diceva una volta.
La mamma quest’anno è stanca. Ho avuto mesi intensi sul lavoro, la pensione non è così vicina come sembra, e io mi sono dovuta dividere fra mille impegni, anche i suoceri non sono stati bene e si è aggiunto un impegno quotidiano verso di loro.
Mio marito mi aiuta come può, sempre troppo poco, ma si sa come sono fatti gli uomini, si perdono quando hanno tanti impegni, la donna è strutturata diversamente, lavatrice, pulire la casa, incastra anche il sugo, la spesa la mattina presto, per non parlare dei figli, dei nipotini quando li portano dalla nonna. Si corre, si corre sempre.
Ecco, quest’anno io non ho voglia di correre. Le gambe, in senso simbolico e non solo, non mi aiutano, come se avessero un’anima a sé e volessero dire “fermati, pensa un po’ anche a te, perché devi stancarti per due giorni con questo grande pranzo di Natale, fatti aiutare.” Le gambe forse hanno ragione.
Ci sono pranzi in cui ognuno porta qualcosa ad esempio, chi il dolce, chi il primo, l’altro il secondo, ma… che dire… questa idea non è venuta a nessuno dei quelli che vengono da me. Adorano i miei cappelletti, ancora fatti a mano, preparati giorni prima e messi in freezer, adorano il mio brodo, adorano le mie patate e l’arrosto, mangiano con piacere, finisce tutto alla fine.
Cosa dovrei dire loro? “Cara, perché non porti tu il primo?” Dovrei dire questo alla moglie di mio figlio, che fa fatica a tenere i due bambini, ha un mare di cose da fare, e, a dir il vero, sa cucinare a malapena una pasta col pomodoro? Oppure dovrei chiedere alle mie consuocere di portare qualcosa? Non ne ho il coraggio, dovrebbero essere loro che si propongono, ma loro sono ospiti, come faccio a chiederglielo?
Ecco, le cose sono più complicate di quello che sembra, e il grande peso è tutto sulle mie spalle. Mio marito mi aiuta ad apparecchiare la tavola, qualcosa fa, ma la maggior parte della fatica spetta a me. Gli antipasti, quelli potrei comprarli anche al supermercato, ma un anno lo feci e non piacquero, li trovarono dozzinali.
Così sono tornata a fare tutto in casa. Quello che pesa ancora di più sono le varianti, come nei ristoranti in cui si dice “va bene la pizza ai peperoni e cipolla, però senza cipolla”. Oppure un piatto di pesce ma senza cozze, e magari il sugo è già pronto in cucina, ed ha le cozze. Un ristorante sarà preparato a queste variabili, ma non è così semplice gestirle in casa.
Da anni faccio anche i taglioni al salmone, una ricetta con panna, pomodoro e caviale sopra, buona, non c’è che dire. Su questa ricetta ho chi non vuole la panna, chi non vuole il caviale, chi non ama il pomodoro, anche se è un filo di passata, e devo farli in bianco.
Mancano pochi giorni, devo darmi da fare, devo fare ancora la spesa, devo trovare energie e slancio. Perché devo presentarmi anche sorridente, che si fa, la padrona di casa ha l’aria stanca, quel giorno? No, deve sorridere, abbracciare gli ospiti, ringraziare dei regali che portano.
Silenzio, è sera. Domani devo mettermi in moto. Forse la notte mi porterà energie. Vorrei essere da un’altra parte, per Natale. Questa è la verità, ora. Da una parte il piacere di avere la famiglia, la grande famiglia a raccolta, dall’altra una certa solitudine, un momento per me e mio marito, da soli.
Una collega va all’estero, un viaggio da sogno in un luogo caldo, se ne frega se i figli andavano da lei tutti gli anni. E’ decisa e risoluta, non ha sensi di colpa, mi ha detto che la famiglia può riunirsi senza di loro, che lei non ci sta a sgobbare senza nessuno che l’aiuti. Un’altra collega invece va al ristorante con tutta la famiglia, pagano alla romana. Il marito ha deciso così, si è stancato di vedere la moglie distrutta la sera di Natale.
Io? Vorrei andare a farmi un bel viaggio, che so, in Cina, o in Giappone, vedere come passano quel giorno da un’altra parte, o anche a Parigi, sotto la torre Eiffel, un ristorantino un po’ chic, perché no, io e mio marito a guardarci negli occhi, a mangiare altri cibi, a gioire e a sorprenderci di altri sapori, e poi passare il pomeriggio lungo i Champs-Elysées, io sottobraccio a lui, o magari tenendoci per mano, come facevamo un tempo.
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