di Marina Zinzani
“Ma con l’Amore non si fa commercio al mercato, né si usano i pesi di un venditore ambulante. La sua gioia, come la gioia dell’intelletto, è di sentirsi vivo.” (Oscar Wilde)
La penombra della sera e la solitudine. Una presenza non più appagante, l’anima ha sete, l’acqua è insapore e non basta a lenire il desiderio di bere.
Disorientamento e dubbi, la felicità è illustrata con parole, con concretezza, casa, famiglia, lavoro, il tutto per essere felici. Il tutto, e non si è felici.
La penombra della sera e la solitudine. Aspettare chi non è mai arrivato. Sono arrivate delle persone ogni tanto, e sembrava che all’interno di quelle persone ci fosse quel cuore, quell’intelligenza, quella sensibilità in grado accendere il fuoco della propria casa. E invece tutto era sbagliato, nessuna persona nascondeva dentro di sé quel nome, quell’identità, in grado di far volare il cuore, di farlo sentire appagato.
La penombra della sera e la solitudine. Usare la superficialità come un grande anestetico. O forse no, perché per avere bisogno di anestetici si deve essere consapevoli di essere in una fase di bisogno. E la superficialità spazza via tutto, fa deridere dei sentimenti, bruciare i raccolti, impedire ogni semina. La superficialità che si accompagna in gruppo, spesso. E in gruppo si crede di sconfiggere la solitudine.
La penombra della sera e le parole che non si dicono. Non le dice un padre ad una figlia, un nonno alla nipote, una moglie al marito, una figlia alla madre. Non si dicono semplicemente, le cose. Valgono i fatti. Le gesta. Anche i silenzi. Presenze che esistono, senza clamori, anche nelle asperità quotidiane, senza fiori e romanticismi, senza sottolineature, ma esistono. E nella loro esistenza c’è il sale della vita.
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