di
Giovanna Vannini
(Noi, e il dopo: tra ricordi della fanciullezza,
malanni del presente, e quel pizzico di nostalgia)
Quando me ne andrò non lascerò un vuoto ma un pieno
con diversi vuoti. Quando me ne andrò sentirò la leggerezza dell’assenza del
non fatto. Quando me ne andrò sarà presto per dire che avevo finito di fare e
tardi per quel tanto da fare che mi restava. Quando me ne andrò sarò il mio
intero che va, verso una luce lontana, un camminamento per persona sola, un
dove da arrivarci piano, da fermarsi per raggiunta meta. Quando me ne andrò
rammenterò stazioni di paesi visti solo in cartolina, binari con vagoni su cui
non sono salito, fermate di tram imboscate, biciclette regalate per età in
crescita, pattini a rotelle per quella pista della mia fanciullezza.
Quando me ne andrò ci sarà un dopo me in divenire, stagioni ancora in fila, tempo di altri impiegato per ripercorrere il mio. Quando me ne andrò i miei vent’anni si pareranno davanti ai numeri più alti, rientrerò negli abiti, riproverò la gioia dei capelli in colore, dei muscoli tesi, della pelle soda.
Quando me ne andrò ci sarà un dopo me in divenire, stagioni ancora in fila, tempo di altri impiegato per ripercorrere il mio. Quando me ne andrò i miei vent’anni si pareranno davanti ai numeri più alti, rientrerò negli abiti, riproverò la gioia dei capelli in colore, dei muscoli tesi, della pelle soda.
Nelle narici gli odori della casa natia,
nell’abbraccio gli affetti andati, e quella sensazione di smarrimento ed
ebbrezza che provavo in gioventù nel sentirmi diverso dai troppi. Quando me ne
andrò ci saranno altri anziani con me, ci scambieremo gli sguardi annacquati,
il passo lento, il tremolio della mano che porta il cucchiaio alla bocca, il
riso tra i denti posticci. Quando me ne andrò tu ci sarai? Non so, perché non
so quando davvero me ne andrò. Ci penso ora, ora che ancora sto, in questa
terra di confine, tra la maturità in saggezza e la vecchiaia in malanno. Un
confine unico, speciale, che non si clona, non ne esiste uno uguale, ognuno ha
il suo. Quando me ne andrò mi risuona in testa, si fa peso il pensarlo ma non
mi sottraggo, anzi lo immagino più di quanto lo potessi immaginare, mentre il
mio ruolo di padre scema e quello di nonno cresce. Quando me ne andrò non so se
di me rammenteranno e cosa.
Ci sono stato non c’è dubbio, tutti ci siamo stati
se un giorno andiamo. Ma in quale modo, con quanta importanza fummo, non sta a
noi giudicarlo. Quando me ne andrò starò bene come non lo sono mai stato, in
pace con il tempo non trascorso vivendo, con le ore sprecate, con il sonno non
dormito, i viaggi non fatti, i soldi non spesi o quelli non avuti. Quando me ne
andrò: mi fa paura. Ecco l’ho detto, avrei desiderato avvenisse senza preavviso
ora che invece lo sento arrivare. Vorrei allontanarlo solo un poco, un poco
solo, giusto per avere un altro appiglio, un’altra chance, una corte in
appello. Quando me ne andrò mi perderò il resto in arrivo, temo di non avere
abbastanza ricordi a tenermi compagnia per dove devo andare, materiale
sufficiente per scrivere, immagini da riguardare al bisogno. Nulla sarà mai
abbastanza per quando me ne andrò.
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