Dopo le
elezioni, la frammentazione del paese, con prevalenza delle posizioni
antieuropee e estremiste. La prova più
difficile: un lavoro di interpretazione del sentimento popolare, di
riaggregazione sociale, di ricucitura tra le generazioni, ovvero un disegno di
riformismo serio e responsabile
di Angelo Perrone *
Al
risveglio dopo le elezioni politiche italiane, esserci lasciati alle spalle una
campagna elettorale dai più definita vacua ed irritante è una bella
soddisfazione, purtroppo di breve durata. Il sollievo è solo momentaneo, appena
lo si percepisce è lì che svanisce repentinamente; cede spazio alle
preoccupazioni che riguardano il futuro.
Tutti pensieri non nuovi, certo, e oggi diventati attuali. Ma aggravati dal modo di affrontare la contesa politica, dai risultati delle elezioni e dall’avanzata delle forze più estremiste e populiste, come il Movimento 5 stelle e la Lega, a danno delle posizioni riformiste o semplicemente moderate.
Tutti pensieri non nuovi, certo, e oggi diventati attuali. Ma aggravati dal modo di affrontare la contesa politica, dai risultati delle elezioni e dall’avanzata delle forze più estremiste e populiste, come il Movimento 5 stelle e la Lega, a danno delle posizioni riformiste o semplicemente moderate.
Un
vento di insofferenza non dissimile da quello che ha soffiato in altri paesi
europei e perfino in America con la presidenza di Donald Trump. Prova eloquente
di una distanza non solo tra la classe politica e i cittadini, ma tra l’entità
dei problemi da affrontare e il “magazzino delle attrezzi” necessario per
governare il futuro: preparazione delle classi dirigenti; idee per affrontare
le cose; approccio realistico ai problemi.
Un
sogno, fatto da bambini durante una notte buia e tempestosa, potrebbe rivelarsi
un incubo: l’elefante, che poco prima circolava allegramente nel nostro
giardino, è finito addirittura in cima ad un albero altissimo. Come è salito
sin lassù? E come potremo farlo ridiscendere senza danni per lui, e ovviamente
per noi e il nostro albero? L’immagine così fantasiosa non appartiene solo al
mondo surreale di Maria Elena Walsh, scrittrice argentina (1930-2011), in
predicato a suo tempo di vincere il premio Anderson, il Nobel della letteratura
dell’infanzia, e autrice appunto del romanzo Elefantasy, ripubblicato di recente nel nostro paese.
Evoca
una storia di libertà e fantasia, pura immaginazione, buona a interessare i
piccoli, non certo i grandi. Ma fa riflettere anche noi l’insolita situazione
di un pachiderma che viene a trovarsi in una posizione instabile e precaria, tenuto
in alto da un sostegno troppo esile rispetto al suo peso. Una situazione
simbolica, simile a quelle che possono verificarsi nella vita di tutti i
giorni. Può accadere anche nel mondo reale, e in quello politico, che il
problema sia: l’adeguatezza degli strumenti (e delle persone) per affrontare le
difficoltà.
Con
il risultato del voto, abbiamo infatti la conferma che l’attuale legge
elettorale non porta nessuno a vincere davvero, o a scomparire dai giochi per
il nuovo governo, impedendo così la formazione di una solida maggioranza per
guidare la legislatura, quale che ne sia il segno politico. E si limita a
fotografare gli svariati umori presenti nell’opinione pubblica, senza fornirne
una sintesi, e dunque senza dare un’indicazione risolutiva per gestire la cosa
pubblica.
Un
quadro frastagliato di attese, malumori, delusioni ha intorbidito e reso più
difficili le scelte. A parte i difetti della legge elettorale (il sistema
maggioritario avrebbe dato un esito differente) è mancata una capacità di
aggregazione che impedisse la frammentazione del paese in tre Italie diverse non
solo per l’orientamento politico (il nord verso la destra, il centro in
direzione della sinistra e l’intero Meridione a favore dei 5 Stelle) ma per le
condizioni socioeconomiche, e provasse a ricucire le fratture tra città e
periferie, tra giovani e anziani, tra privilegiati e persone disagiate in
assoluta povertà, costantemente in affanno nel lavoro, nella salute, nella
scuola. Screziature, linee di rottura, forzature proprie forse di ogni società,
e cultura, ma più radicali in un mondo che soffre come non mai gli effetti della
globalizzazione e dell’immigrazione.
Certo
gran parte della responsabilità è dovuta alla mancanza di una classe dirigente
adeguata, la quale ha molte cause: dalle lacune della scuola, al deficit dell’alta
formazione nella pubblica amministrazione, alla resistenza di fronte ai
meccanismi di ricambio/alternanza, ai processi corruttivi tanto deprecati
quanto accettati come inevitabili. Aspetti rivelatisi più importanti e
decisivi, nell’esito elettorale, dei tanti progressi che pure non sono mancati
nell’azione di governo degli ultimi anni: la crescita per abitante è pari a
quella di Francia e Germania, l’export è aumentato significativamente, si sono
ridotti i debiti verso l’estero, la crisi bancaria è stata affrontata con meno
risorse pubbliche di quelle impiegate da altri Stati europei.
Tuttavia
l’incertezza dello scenario attuale, derivata dall’esito del voto, è ampliata
anche da altri fattori, che riguardano più in generale la capacità della classe
politica di affrontare le questioni sul tappeto, l’elaborazione di progetti
fattibili per interpretare il sentimento collettivo e dare risposte
sufficienti. In una parola, il rapporto tra difficoltà dei problemi ed efficacia
degli strumenti per risolverli.
La
campagna elettorale e quindi il post voto non offrono anticipazioni
tranquillizzanti perché la qualità delle proposte non può prescindere da quella
del linguaggio usato per rappresentarle e dall’atteggiamento assunto davanti
alle questioni sul tappeto. Le parole sono state usate come trincee, per
dividere gli uni dagli altri, non come ponte costruttivo; vere e proprie
barriere, perché spesso decontestualizzate, trasformate nel loro significato
originario, creando dunque confusione e disorientamento, e usate a fini di
lotta.
Per
esempio, la “rottamazione” non era il manifesto della “soppressione” sociale
degli anziani, ma solo la rivolta costruttiva dei giovani non occupati dopo
tanto blaterare sulle nuove generazioni: il ribaltamento degli schemi l’ha resa
infine una lotta di potere tra classi dirigenti. La contrapposizione
“antifascismo-fascismo”, da richiamo agli ideali di libertà fondativi della
Repubblica, è stata utilizzata fuori dal contesto storico, per giustificare o
censurare forme di violenza, comunque esecrabili, degli uni o degli altri. Il
concetto di “presentabilità”, lungi dall’indicare semplicemente i pregiudicati
e dunque una categoria oggettivamente definibile, ha finito per qualificare
chiunque non fosse allineato con le proprie idee e non rispettasse gli ordini
di scuderia del partito. Una mistificazione del linguaggio che ha corrotto i
concetti stessi stravolgendo il dibattito politico e rendendo incontenibile
l’assalto della rabbia emotiva contro il pensiero razionale.
Nonostante
tutto, ora spetta al Parlamento e alle istituzioni fare quella chiarezza che
finora è mancata: un compito di grande responsabilità che comunque i cittadini
hanno affidato agli eletti mostrando fiducia nei meccanismi della democrazia
rappresentativa. Una vera missione che non può essere tradita. Se infatti
alcuni nodi non sono stati sciolti nel dibattito elettorale, se la legge
elettorale non ha permesso di stabilire chi debba governare per cinque anni, aprendo
una fase di instabilità, è altrettanto vero che alcune questioni rimangono
imprescindibili.
Distinguere
tra responsabilità e populismo, tra realismo e demagogia, tra preparazione e
competenza. Tra volontà riformatrice e chiusura al nuovo in nome delle paure e
del rifiuto del diverso. I risultati elettorali, con l’espansione delle forze
estremiste antieuropeiste, inclini ad assecondare gli umori più radicali della
popolazione senza provare a mediarne il senso, indicano quanto sia faticoso e
difficile il cammino del riformismo.
Dalla
volontà riformatrice, comunque, non potrà prescindersi in nessun caso: per
governare una realtà complessa e articolata non sono possibili risposte
semplificatrici, irrazionali od emotive, ma occorrono preparazione, competenza,
serietà. In un mondo che è frammentato e deluso, in una comunità che è largamente
sofferente ed esce inquieta dal voto, non deve mancare un lavoro collettivo,
che esprima una visione delle cose e un sistema di valori, che riconduca
l’esercizio del potere a servizio per la collettività, che dia slancio ai
settori più innovativi ma sia anche in grado di offrire speranze e soluzioni
alle tante periferie sociali ed economiche del paese.
Passione
civile, fiducia del futuro. In fondo, l’elefante del sogno era salito
sull’albero altissimo perché si era addormentato su un “seme magico”, ed è
riuscito a scendere senza danni “con l’uso delle ali”.
* Leggi anche La Voce di New York:
Elezioni in Italia: l’incubo di quello strano elefante in cima ad un albero altissimo, di Angelo Perrone
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