di Bianca
Mannu
(Commento
di Angelo Perrone)
(ap)
Sono animali abituati a migrare da un luogo all’altro, gli uccelli di passo, lo
fanno per sopravvivere e stare meglio. Trovare il luogo adatto dove riprodursi,
svernare. Semplicemente, vivere. Sono così per natura e la definizione
racchiude un destino.
Ma a chiamarli “di passo” viene anche facile immaginare
che siano “di passaggio”, per nulla stanziali, un’apparizione e via, pronti a
spostarsi di continuo quasi sospinti da insoddisfazione. Una condizione, quella
precaria ed incostante, che si addice molto agli umani cogliendone
un’inclinazione per nulla rara di questi tempi.
Ecco,
appunto. In senso figurato, la locuzione indica gente irrequieta, incapace di
rapporti sentimentali stabili, persino poco affidabile. Eppure proprio gli
uomini dovrebbero saper cogliere di quegli “uccelli di passo” il misterioso
rapporto che sono riusciti a instaurare con lo spazio, e soprattutto il tempo.
Per imparare ad apprezzare l’occasione del passaggio, in questo o quel luogo,
come momento del proprio viaggio personale. Persino le festività, a parte la
predominanza delle libagioni e la frenesia dei regali, potrebbero insegnarci il
valore che può assumere una sosta temporanea da qualche parte, e quello della
ripartenza, in una parola la dimensione che appartiene così intensamente alla
nostra umanità: essere in transito. Su questa terra.
Per gli uccelli di passo
s’apre e scema
in un fiato proditorio
il tempo e la stagione
Gli uccelli di passo
nel cielo di nessuno
sono una nube viva
che non sa leggere l’ora
immanente
della dispersione.
Gli uccelli di passo
eccedono di vita: leggeri
col ricordo della specie
insistono nel volo
cui - mortalmente ignaro -
è appeso il sogno che sfida
la legge archimedea
raccogliendo il vento
sotto l’ala.
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