di Bianca Mannu
La scrittura, poetica o no, così come altre pratiche di espressione comunicazione, sono luoghi di rappresentazione dialettica delle istanze del sé, quelle autentiche e quelle spurie, palestre del confronto e dell’autoconoscenza, luoghi di libertà.
Sono convinta che il poeta anche quando scrive sotto l’ispirazione di un tema molto sentito e vissuto, sia in qualche modo “parlato” dalla sua cultura fondamentale, dalla semantica profonda, piuttosto inconsapevole, quasi subisca certe concatenazioni verbali, sia controllato, a propria distrazione o insaputa, dai suoi bioritmi, dalle sue predilezioni sonore ancestrali nelle scelte lessicali. Forse questo vale non in assoluto, ma per me, sì.
Il mondo come è stato e così com’è ancora, costruisce il ventaglio di possibilità entro cui si fondano le psicologie individuali, imponendo alle risorse vitali individuali delle vere e proprie torsioni. E’ noto e assodato che il genere femmina ha subito la massima e millenaria pressione e che la casuale eccezione – trasgressione tollerata – ha a più riprese fatto emergere il disagio.
Insisto sul problema delle torsioni alle psicologie individuali. Sono tali da rendere irrilevante anche la reciprocità delle relazioni amorose, tali da scaldare e rinsaldare il senso del dominio di un individuo sull’altro, spingendo la complementarità reciproca alla condizione di perenne dominio/subordinazione del femminile sotto il maschile, come prosecuzione di una mitica condizione “di natura”.
Quindi un’apparenza fenomenica culturalmente prodotta è presa come dato assoluto; ciò che esclude persino la possibilità di concepire dinamismi e trasformazioni , mentre imbriglia tensioni e giustifica repressioni..
L’emersione del disagio e la presa di coscienza del femminile sotto la pressione esercitata da tale sistema è iniziata, come si sa, collateralmente ad altre trasformazioni: basti guardare all’Illuminismo e ai temi giuridico/politici e sociali coinvolti e agitati nel clima rivoluzionario del tardo settecento; e ancora continua passando per il corpo femminile vivente, scosso e spesso dilacerato tra ubbidiente sacralità e profanità trasgressiva, tra ritegno e oscenità, come se il vivere la propria intimità fosse un dover corrispondere a istanze concepite in misteriosi altrove viepiù discutibili e discussi.
Si fa strada, lunga strada, l’esigenza che ogni donna si pensi criticamente, non solo in relazione a vecchi e nuovi modelli di genere, per i quali le urge mettere del proprio, ma si viva e si concepisca come soggettività in progressiva autonomia, e decida sul campo, tanto in quello delle relazioni pubbliche quanto in quello delle private, i suoi ruoli e le sue opzioni, pagandone i costi e sapendo di farlo.
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