La casa dei nonni, luogo di ricordi
di Laura Maria Di Forti
La vecchia casa dei nonni era in rovina. “Inutile tenerla, tanto meno spenderci soldi per restaurarla. Ci conviene venderla, due soldi per ciascuno e via” disse il cugino Gregorio a Mario che lo guardò come se avesse ricevuto un pugno in pieno petto.
La casa dei nonni. Certo, non c’era ragione di tenerla. Una casa vecchia in un paese dove loro non avevano la benché minima intenzione di andare a vivere, considerando che loro abitavano in città in appartamenti di lusso, bene arredati e in zone eleganti. I nonni no, possedevano quella casa grande ma modesta che qualcuno avrebbe potuto definire povera, addirittura.
Mario si guardò intorno. La cucina era composta da due vecchie dispense e da un tavolo in legno verniciati di bianco e un lavatoio di marmo grigio dove, ben si ricordava, tante volte aveva giocato a fare il barista, riempiendo di acqua tutti i bicchieri di casa fingendo che fossero cocktail o liquori. Giochi d’infanzia allegri e spensierati, giochi innocenti di un bimbo che sogna un futuro pieno di avventure in quel fantomatico bar dove entravano attori, grandi scrittori e personaggi dello sport. E invece lui era diventato uno degli avvocati penalisti più famosi d’Italia.
“Allora, che ne dici? Ci sbarazziamo di questa casa?” incalzò Gregorio, l’altro erede dei nonni, potente politico e insigne professore universitario.
Che dire? Tenerla sarebbe stata una follia, un inutile attaccamento a una vita passata, ormai morta e sepolta.
Mario annuì al cugino dando un calcio ai vecchi sentimentalismi ormai passati di moda.
Mentre Gregorio telefonava all’agenzia, fece un ultimo giro della casa e poi salì in soffitta. La porta si aprì cigolando, come d’altronde aveva sempre fatto, almeno da quando ricordava. Lui e Gregorio, il cugino più grande e scanzonato, si rintanavano in quella polverosa, enorme soffitta per sfuggire al cucchiaio di legno scagliato tanto abilmente dalla nonna. Scappavano lanciando urla strazianti, come se a colpirli fossero state pallottole sibilanti nel cuore della notte.
A quel ricordo lontano quasi mezzo secolo, Mario rise scuotendo la testa forse per scacciarlo dalla memoria, ormai solleticata e pronta a proporre tutti i momenti di innocente spensierata, tanto lontana eppure ancora così nitida. Le corse, i giochi, i canti e perfino le urla del nonno che riprendeva i nipoti per tutte le disubbidienze e i capricci.
Mario si guardò intorno e vide mobili malconci, giocattoli rotti, tante cianfrusaglie, polverosi scatoloni pieni di vecchie cose, riviste, oggetti, inutili orpelli ormai centenari, indecorose carabattole care solo a chi li aveva viste nuove, fiammanti nel loro splendore antico. Prese in mano una trottola di latta colorata, tutta ammaccata e in alcune parti arrugginita. Era la sua trottola, quella con la quale da bambino aveva giocato per ore, vantandosi con il figlio del lattaio che possedeva solo una palla di pezza. La crudeltà dei bambini è davvero imbarazzante.
Mario e Gregorio salirono in auto. Durante il viaggio parlarono del più e del meno, Gregorio raccontò gli ultimi avvenimenti politici con la sua solita arroganza mentre Mario lo ascoltava distrattamente, preso ancora dai vecchi ricordi affioranti come bolle da una pentola sbuffante.
La casa dei nonni venne venduta per pochi soldi. Mario, ricevendo la sua parte, si sentì come Giuda che aveva preso i quaranta denari. In fondo, aveva tradito la sua infanzia vendendone tutti i ricordi.
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